sabato 30 luglio 2011

Giardino culinario (o la casa delle streghe)

E' come la vecchia barzelletta dei doni, quella che non si puo' essere contemporaneamente onesti, intelligenti e votare Forza Italia.
Io so far venire su le piante abbastanza bene e cucino abbastanza male.
Peccato perche' fra le due cose ci sarebbe una piacevole connessione.
Ho quantita' industriali di basilico bellissimo che ho cresciuto da seme. Fa un profumo incredibile, si sente in meta' giardino. In piu' ho del basilico adottivo, che mi ha lasciato il mio amico che e' andato prima per lavoro poi per vacanza in Africa e non se ne poteva occupare.
Oggi ho fatto il pesto. Ho persino comprato il mortaio a mano al mercato, di legno d'ulivo, per farlo come si deve. L'aglio me l'aveva regalato Ciro, viene dall'orto in campagna. Sta appeso a cacciare le streghe e a rovinarci irrimediabilmente l'alito. I pinoli li ho comprati, non so neanche come sia fatta la pianta. Mai visto venire i pinoli da un pino.
Ho pestato coscienziosamente, ma non e' venuto niente. Le foglie si sono spappolate, ma non mischiate ai pinoli, come se si ribellassero al loro destino alimentare, come se dichiarassero al mondo che loro avevano altre aspirazioni, molto piu' alte che accompagnarsi alle trofie.
Sono rimaste un po' legnose, le nervature come vene troppo grosse per farsi vincere dalle mie forze manuali.
Mah. Forse non sono capace io e pesto in modo troppo svogliato.
Forse faccio crescere piante spiritate e troppo ambiziose.
Forse l'aglio non funziona e in realta' le streghe abitano in mezzo al basilico.

venerdì 29 luglio 2011

Diario ipocondriaco parte seconda

Negli ultimi giorni ho visto spesso in tv la pubblicita' di un nuovo programma, che deve essere orribile, quindi non lo guardero' mai.
Una famigliola felice ha appena trovato casa. E' una rassicurante villetta in una strada americana, di quelle con il patio, tutte bianche, con il giardinetto intorno. Quelle che vengono giu' con un refolo di vento, figuriamoci con Katrina.
Fanno una foto tutti insieme davanti all'ingresso, quelle tremende tradizioni che servono solo a ricordare come passa in fretta la vita e come si diventa subito vecchi senza nemmeno accorgersene. 
La voce fuori campo dice: "finalmente hanno trovato la casa dei loro sogni...peccato che sia gia' occupata". Si tratta infatti di un programma sui fantasmi che infestano le abitazioni. La luce si fa improvvisamente livida e spettrale grazie a un sapiente uso del bianco e nero e i vari membri della famigliola incontrano uno a uno gli spaventosi inquilini della casa. Si capisce che non ne usciranno vivi.
L'ipocondria per me e' questa cosa qui. La trasformazione repentina di un avvenimento felice, di un momento positivo, in una scena inquietante e spettrale, piena di pericoli. E' il mondo che si fa in bianco e nero, la notte che scaccia il sole, la serenita' che diventa panico. Potrei andare avanti con le metafore, ma avete capito.
Martedi' e' sparito il gatto grande. Ecco, sono gia' partita male, non e' vero.
Martedi' mattina sono uscita di casa lasciando i due gatti che giocavano felici in giardino. Martedi' sera solo la piccola e' arrivata scampanellando (hanno sempre il campanello al collo per via della caccia agli uccellini). 
Non mi sono preoccupata. A volte il gatto grande sparisce e ritorna a notte fonda.
Mercoledi' mattina di nuovo solo la piccola, niente gatto grande.
Parto per Roma - trasferta in giornata - chiamo nel pomeriggio la signora che ci aiuta con le pulizie, che viene ogni settimana. Mi dice che ha visto il gatto grande, che e' venuto a mangiare poi e' uscito di nuovo. Mi dice che sembrava arrabbiato, non si e' lasciato accarezzare, era un po' arruffato.
Rientro alle undici per temporali su Fiumicino e del gatto neanche l'ombra.
Giovedi' mattina richiamo la signora per avere piu' dettagli sull'incontro. Il gatto era strano e con il pelo tutto brutto e in disordine (avrete visto dalle foto che e' un gatto molto peloso), sembrava di pessimo umore ed e' andato via subito senza nemmeno fare un po' di feste.
Giovedi' torno a pranzo a casa per vedere se ci sono novita'. Nessuna.
Alle sette rientro e comincia la ricerca seria. Vado in cantina, prendo la scala lunga e mi arrampico sul tetto del garage che c'e' dietro al muro di fondo del giardino, da dove cominciano le loro passeggiate aeree. 
Vi risparmio il fatto che a un certo punto non riuscivo a scendere perche' la scala era troppo lontana e il vicino e' venuto a recuperarmi mentre ero seduta sul muro con le gambe penzoloni, la gonnellina e le scarpe col fiocco come alice nel paese delle meraviglia, perche' sono scene pietose. In ogni caso le scoperte sono le seguenti. 
Punto primo: i tetti sono un mondo, un mondo relativamente pulito (tranne il fatto che ho visto dove i miei eroi fanno la cacca quando non sporcano la cassettina), con solo qualche biro caduta dai palazzi. Niente scarafaggi, niente animali morti, niente di strano. Un mondo di gommoso rivestimento grigio scuro che degrada e si rialza, un territorio da cui si ammirano gli interni di mille appartamenti che si affacciano li' intorno, da cui si accede e depositi e giardini (di terra) di villette dimenticate dalla contemporaneita' dei condomini. Quasi bello.
Punto secondo: c'e' una piccola colonia di gattoni dall'aria ben pasciuta (lo testimoniano anche diverse ciotole) che vivono su un tetto al piano ammezzato, un po' piu' avanti sulla sinistra del giardino. Di fronte c'e' un appartamento con il terrazzo, immagino una gattara che da' da mangiare a quella famigliola di bestie (niente cuccioli, devono essere sterilizzati). I condomini, incuriositi dalla ragazza con la gonnella che passeggia sui tetti seguita da un marito perplesso e da una gattina - la piccola - bel felice che scoprissi il suo mondo, mi hanno spiegato che sono sei, tutti in vari toni del bianco, grigio e tigrato. 
Punto terzo: il mio giardino, visto al tramonto da quella prospettiva, e' bellissimo. E' il giardino segreto, come lo avrebbe descritto il libro se avesse inserito una prospettiva aerea. 
Comunque: del gatto grande nessuna traccia, ne' vivo ne' morto ne' ferito.
Completo la ricerca con un giro, questa volta terrestre, del vicinato, raccolgo grande solidarieta' ma nessuno l'ha visto.
Ormai convinta di averlo perso per sempre mi metto sul divano a guardare programmi squallidi, senza nemmeno mangiare perche' ho lo stomaco chiuso. 
Alle undici e mezza circa sento uno scampanellio piu' lento rispetto a quello della gatta piccola e lui fa il suo ingresso in casa, diretto a mangiare verso la cucina. Non zoppica, non e' arruffato, e' normalissimo.
Mangia qualche croccantino. Io lo seguo quasi in lacrime. Sei tornato, sei tornato, come stai...voce spezzata e tutto il resto. Lui mi miagola di stare lontana, mi soffia persino.
Esce di casa e fa un vomitino.
Poi rientra e rimangia, gli avevo fatto andare di traverso i croccantini. E' un po' cauto e diffidente, deve aver passato qualche avventura.
Qui scatta l'ipocondria.
Mi convinco che il gatto abbia preso la rabbia. Non chiedetemi perche', e' cosi'. 
Invece di andarmene a letto serena, tutto e' bene quel che finisce bene, mi metto su internet a cercare i sintomi.
Che ovviamente sono tutti quelli che ha il gatto: vagabondaggio, anoressia e vomito, incedere spaventato, aggressivita', pelo arruffato (questo a dire la verita' l'ha visto la signora, a me sembra normale). Mi sembra persino strabico, chiaro segno di problemi neurologici che avanzano.
La casa si fa tetra come nel programma televisivo.
Pulisco il vomitino con le mani infilate in un paio di sacchetti di plastica (non ho guanti usa e getta), mi lavo le mani cento volte. Sto attenta a come maneggio il cibo. Non tocco nemmeno la piccola, perche' condividono le ciotole e quindi se lui e' malato e' malata anche lei.
Dimenticavo: nel vagabondaggio su internet scopro anche che la rabbia in Italia c'e', anche se e' rara. Ci sono stati casi in Friuli, in Trentino Alto Adige, in alta Lombardia. E' trasmessa dalle volpi dei boschi, che poi la trasmettono ai gatti, ai cani e forse ai topi. Oggettivamente difficile incontrare una volpe sui tetti di casa mia, mai avvistate. I miei gatti, poi, non sono mai stati in montagna, a me la montagna neanche piace, preferisco il mare.
A New York pero' l'hanno presa gli scoiattoli di Central Park, quindi c'e' anche in aree urbane. Dimentico che i miei gatti non sono mai stati neanche a New York. Comincio ad avvilupparmi nell'idea che il gatto puo' essere stato morso da un topo infettato da un micio randagio che e' stato morso da un cane che e' stato in montagna. Sembra la fiera dell'est, ma e' convincente. Mi dico che qui la campagna e' a due passi - o due tetti di distanza - quindi chissa' quante bestie selvatiche ci sono. Annuncio a mio marito che moriremo - in Cina, per via delle tre settimane di incubazione - di rabbia. Lasciate perdere che nessuno dei gatti mi ha morso o graffiato. 
Non dormo per niente.
Stamattina la gattina mi dormiva di fianco come sempre, il gatto presunto infetto sul divano in camera piccola. Si e' stiracchiato, ha fatto la coda a punto interrogativo ed e' venuto a strusciarsi contro la mia gamba.
Oggi pomeriggio, al ritorno dall'ufficio, l'ho trovato spaparanzato sulla panca in giardino che dorme beato, mi si e' avvicinato ed e' venuto ad annusarmi la sottana. Non e' arruffato per niente, cammina normale, con il suo incedere lento e dondolante da gatto raffinato.
Io non riesco a toccarlo. Mi fa paura. Penso se ne accorga, perche' mi guarda perplesso. Mi ci vorranno alcuni giorni per convincermi che non e' infetto e non mi attacchera' nulla, che sta bene e io non moriro', perche' la luce torni diurna e normale.
E' una malattia maledetta, una malattia che ti toglie la felicita', l'ipocondria. 
Non so perche' mi sia tornata in modo cosi' prepotente negli ultimi mesi, credevo che la decisione presa sul mio futuro fosse stata sufficiente per ridarmi equilibrio, invece il mio subconscio continua a lavorare e a tirare fuori le sue "oggettivazioni d'infelicita' e paura", che per me sono le malattie. Come faccio dall'adolescenza non ammetto a me stessa di essere inquieta e il mio cervello escogita tumori e infezioni, un timore socialmente accettabile, e me li attribuisce in quantita'. 
Resisto e non telefono alla veterinaria perche' c'e' sempre l'angioletto della spalla destra, chiamatelo razionalita' se volete, a dirmi che servirebbe solo a farmi ridere dietro e che comunque pochi minuti dopo l'effetto tranquillante sarebbe sparito.
Devo mettere a posto qualche altro fondamentale, evidentemente. 
Ci lavorero' nel week end e spero che il viaggio, con il suo portato di sana agitazione e novita', mi aiuti.
Vado a controllare se il gatto sta bene.

martedì 26 luglio 2011

Leda Horticultural Society

Ah, non vi ho detto: con l'abbonamento a Gardenia ho ricevuto l'enciclopedia pratica del giardinaggio della Royal Horticultural Society.
Ammetto che mi sono abbonata al giornale solo per quella. Gardenia non mi piace poi tanto, sta meglio come decorazione sul tavolino sotto la pergola che a leggerla. Ci sono un sacco di giardini splendidi, ma quando progettano un'aiuola sembra che facciano la gara delle piante improbabili e io richiudo perplessa borbottando: "mah, io ci avrei messo le begonie".
Detto questo, mi piace moltissimo possedere l'enciclopedia pratica del giardinaggio. Anche se hanno fatto gli spilorci e mi hanno mandato l'edizione con la copertina di carta leggera, nemmeno plastificata, che la prima volta che la innaffio (non ditemi che non vi e' mai capitato di leggere in giardino e di scoprire all'improvviso che l'oleandro ha bisogno d'acqua, quindi di irrigare incidentalmente anche il libro. O, piu' facile ancora, di lasciare un amato volume sulla sdraietta subito prima che un bel temporale estivo lo sorprenda) si disfa.
L'ho dovuta rilegare con la plastica trasparente, come i libri delle elementari, per garantirle una sopravvivenza minima.
Comunque per me e' uno status symbol, come per qualcuna una borsetta di vuitton.
Mi sento gia' un membro onorario dell'associazione e mi immagino ottantenne in un cottage a coltivare bellissime rose che non risentono minimamente di un tempo da schifo.
Miss Marple si impossessa di me e mi sento felice e dignitosa come una zitella britannica. Ho gia' voglia di fare un laghetto per metterci dentro le ninfee, incurante dell'invasione di zanzare che rovinerebbe la mia reputazione presso i condomini e del fatto che i gatti non aspettano altro che una vasca di pesciolini per darsi alla pesca sportiva. Vi dico solo che non posso nemmeno lasciare a mollo in una bacinella un paio di mutande senza trovarle alla sera in cucina perche' la gatta piccola usa le unghie come ami.
Forse e' meglio che progetti una serra, cosi' ci posso far svernare il limone. Sempre che non mi tocchi fare poi il condono. Comunque.
Se volete venire a prendere il te' da me, prometto di lasciarvi vedere i preziosi libretti, finche' sono tutti interi.

domenica 24 luglio 2011

Di zingari e fili da bucato


Due immagini questo fine settimana.
Abbiamo tirato il filo del bucato attraverso il giardino. Mi rendo conto che non sembra una grande notizia, ma e' un'altra di quelle viste legate all'infanzia che ritornano con il valore delle cose scelte e non trovate gia' fatte.
Il filo correva su tutto il fianco della casa che costeggiava la siepe. Piu' in la', l'autostrada. Era sorretto da due pali di ferro un po' arrugginito, bisognava stare attenti a non stenderci vicino le cose, ai pali, perche' la ruggine non va piu' via.
Vicino c'era il lavatoio di pietra. Quello in giardino mi sa che non l'avro' mai.
Da quando mi ricordo io abbiamo sempre avuto la lavatrice, non ho mai visto mia mamma, ma nemmeno la Dina, la Lisetta, l'Arcisa o mia nonna lavare a mano li' dentro.
Pero' si prendeva l'acqua che usciva fredda dal pozzo. Nella vasca gigantesca si teneva in fresco il cocomero. C'era il buco, in fondo, per far scolare l'acqua e se ci mettevi le barchette navigavano via, fino a sotto la magnolia.
Per me il bucato e' il filo, perche' il giardino, dalle mie parti, non e' mai stato un posto dove prendere il te' o fare le cene. Anche. Ma soprattutto e' sempre stato il pezzo piu' bello della casa, quello in cui si facevano le cose libere. Come stendere al vento, giocare per terra, tenere i gatti, innaffiare le piante.
L'estate per una bambina e' la liberta'. Di sporcarsi, di bagnarsi, di inventare i giochi. Di correre in mezzo ai fili del bucato mentre la' in fondo, mica tanto lontano, dietro la siepe, ci sono le macchine ferme sull'autostrada del sole, perche' si va in vacanza tutti lo stesso giorno e li', poco dopo Modena sud, c'e' il tappo di quelli che escono da Bologna verso la riviera, verso Riccione, verso il mare.
Delle volte si fermavano delle persone, dietro la siepe. Avevano bucato una ruota, oppure fuso il motore. Oppure c'era la coda, avevano i bimbi in macchina e l'autogrill era molto lontano. Le persone intuivano la casa dietro la siepe, forse scorgevano il lavatoio e una bambina che giocava per terra alle barchette. I loro figli avevano sete, si avvicinavano alla rete, dietro i rami, e venivano a chiedere un po' d'acqua. Mia madre allora usciva diffidente da casa, passava le bottiglie dall'altra parte. Se qualcuno aveva avuto un incidente, o era in panne, arrivava Ciro a dare una mano, a passare attrezzi. Si chiamava qualcuno al telefono.
Io mi infilavo sempre in mezzo alla siepe e cercavo i bambini.
Ero una persona abbastanza sola per la mia eta', unica piccola in un mondo di adulti. Avevo sempre qualcosa da mostrare a quello che speravo fosse un nuovo amico che si sarebbe fermato per un po'. Un giocattolo, piu' spesso un gattino nato da poco. Il pegno e la tentazione per chi avesse attraversato il fosso, la rete, la siepe e avesse lasciato l'automobile e i progetti di vacanza per restare con me a giocare.
Guardavo negli occhi quei bambini sconosciuti e fra un buco della rete e una foglia una mano, cosi' simile alla mia, si infilava per accarezzare l'animaletto o per toccare il giocattolo.
Io so che volevano restare, tutti. Ma i loro genitori avevano fretta di rimettersi in marcia, di ritornare alla coda e al sogno di villeggiature sempre uguali.
Gli adulti scappano sempre dal posto in cui stanno, quello l'ho imparato sulla mia pelle. Solo i bambini hanno il coraggio di restare a vedere i fili del bucato che dondolano.
Una volta, non so nemmeno se e' vero o se l'ho sognato, si sono affacciati alla siepe gli zingari. Anche loro avevano bambini, un po' piu' sporchi di me ma nemmeno tanto. Mia madre e' andata a prendere l'acqua, vestiti vecchi e un po' di cibo, perche' erano molto poveri.
Io sono corsa in camera mia, a prendere un giocattolo da regalare, mentre una manina rapace si protendeva al di qua della rete.
Quando sono scesa mia mamma aveva il palmo della sua, di mano, al di la' della siepe, mentre la madre del bambino le leggeva il futuro nelle linee. Lei sembrava spaventata e curiosa. Mi sembrava cosi' adulta, aveva la mia eta' ora. Non so cosa le abbia detto, il cielo e' cambiato all'improvviso ed e' venuta una luce piu' livida.
Penso che si sia limitata ad augurare tutto il bene del mondo a una persona che la stava assistendo, ma non sapro' mai se invece non abbia predetto a mia madre le molte croci che si e' portata addosso tutta la vita, le malattie e l'incertezza di chi ogni giorno teme che non diventera' vecchio.
La seconda immagine, per analogia, e' la mia vicina malata. L'avevo vista meglio, prima dell'ultima chemio. Meno gonfia, piu' rilassata, mi aveva raccontato di un bellissimo matrimonio in campagna a cui era andata. Invece dopo lunedi' e' tornata cupa. I capelli, che facevano una peluria sulla testa calva, sono di nuovo caduti. Ha le occhiaie profonde di chi non riesce a dormire dal dolore.
Deve cambiare i farmaci, perche' gli analgesici a base d'oppio che prende danno assuefazione, deve disintossicarsi prima di provarne di nuovi.
Sta patendo il dopo chemio senza nessun aiuto dalla chimica e glielo si legge in faccia che non e' una cosa che si possa tollerare.
Le ho fatto la tisana di melissa, come se potesse servire a qualcosa. L'ha bevuta tutta, un intero litro, per provare a dormire e a riposare. Le ho chiesto se le era servita. Come il tavor, mi ha risposto, quasi niente ma meglio di niente.
Voglio pensare che ci sia un po' di efficacia nell'erba raccolta nel giardino e offerta come tutto quello che si ha a qualcuno a cui non si puo' dare nulla che serva davvero. Spero che il gesto di raccogliere le foglie, far bollire l'acqua, filtrare il liquido verde con un imbuto nella bottiglia di vetro porti dentro un po' della mia energia e della mia salute, che sia quella la magia che la fara' riposare meglio la notte.
Come una mano interpretata nel cortile di casa, vicino all'autostrada.
Qualunque cosa ci abbia visto, spero che la zingara abbia detto a mia madre che li' dentro leggeva solo un cielo limpido.

giovedì 21 luglio 2011

Bilancio di luglio dell'orto in vaso

Mi allineo ai miei amici orticoltori per un bilancio di luglio del mio primo anno di orto in vaso.
Zucchine (scure, varietà "di Milano"): ottimo bilancio. Le piante sono enormi e i frutti piccoli, ma ne sono venuti in abbondanza a partire da aprile, morbidi e saporiti. Nessuna malattia, nessun bisogno di addizionare la terra se non con un po' di composto bio comperato al mercato della terra.

Peperoni: riuscita eccellente, peccato avere avuto una sola pianta (le altre sono finite nell'orto vero di mio suocero). Peperoni grandi e gialli, saporiti come se fossero maturati al sole di Sicilia invece che in un terrazzo di città. Abbiamo mangiato sei frutti e l'ultimo sta per essere pronto sulla pianta. Stasera approfitterò della luce meravigliosa e tersa che c'è oggi per fotografarlo, se mi riesce.
Peperoncini: piantine che arrivano dai semi che mi ha portato la vicina dalla Toscana. Sono germinati tutti, belle piante forti e sane, ma ancora nessun fiore e peperoncini manco a parlarne. Forse sono tardivi, forse li ho seminati tardi io. Sto tenendo tutte le confezioni delle uova per fare semenzaio sui davanzali quest'inverno e arrivare più pronta alla bella stagione. Caratteristica simpatica di queste pianticelle: stanno girando il mondo. Il condominio ne ha avute tre per casa, un cestino ne abita nel quartiere cinese, tre sono arrivate con un rocambolesco viaggio in treno a Parigi dalla mia amica.
Mica male per dei semini toscani.
Speriamo che agosto porti consiglio e infiorescenze.

Fragole: mah. Bilancio deludente. Tanta rifiorescenza, ma pochissimi frutti. Diciamo che per nutrirci delle nostre fragole avremmo dovuto avere minimo minimo cinque volte più piante, e tutte del tipo fragolone. Quelle più piccole si sono molto propagate (metri di stoloni), ma avranno fatto dieci frutti in tutto, la gran parte mangiati da uccellini temerari che hanno sfidato il rischio gatti.

Basilico da seme: una meraviglia, niente a che vedere con le piantine un po' depresse comperate al supermercato. E' un vaso che ricorda un racconto di Boccaccio, profuma di estate (e anche un po' di pulp, vista la reminiscenza di teste mozzate), questo week end saprà di pesto.

La salvia a foglie grandi è morta all'improvviso, dopo un fine settimana di pioggia che ha fatto marcire le radici. Le piccole talee crescono bene, ci saranno foglie fritte anche il prossimo anno.

Timo simpatico e senza necessità, rosmarino meno florido del previsto - l'origine da supermercato si fa ancora sentire - ma vivo e vegeto, menta meravigliosa, in giardino e nel te', melissa sempre nuova ogni settimana e buona da seccare, per gli infusi di questo inverno.
Della mora e del ribes silenti ho già parlato in più occasioni.

Ho tenuto volutamente per ultimi i pomodori, la mia rivelazione e la vera, massima soddisfazione dell'estate. Quattro piante di cuore di bue hanno prodotto come pazze, abbiamo fatto crudaiole (pasta con i pomodori freschi a crudo e il basilico di cui sopra), insalate, pizze, altri frutti verdi sono in maturazione. Una si sta seccando per esaurimento forze, le farò un monumento e salverò i suoi semi perchè meglio di così non ci si può comportare. Anche in questo caso, nessun aiuto se non un po' di compost bio e un goccio di chelato di ferro dopo due giornate torride con l'irrigazione non ancora ben regolata.
Una sorpresa: tranne la rucola, che è diventata in poco tempo il pasto preferito dei bruchini con la faccia simpatica che hanno rischiato in due giorni di sterminare le mie rose, niente ha avuto parassiti e infestanti. Evidentemente l'equilibrio orticolo ha funzionato, compreso l'accorgimento delle rose sul limitare dell'orto, una cosa imparata da sempre guardando i filari in campagna. Le rose si sono prese ogni bestiola possibile, sono dei colabrodi fioriti, ma in compenso i frutti sono salvi.
Ora è tempo di semi da seccare e raccogliere, di pensare già all'orto del prossimo anno. 
La proiezione e il futuro restano la scoperta più emozionante del giardinare.

martedì 19 luglio 2011

Genova per noi, che eravamo innocenti

Oggi sono dieci anni dal G8 di Genova. 
Ne parlavo oggi con un amico e mi fa impressione l'idea che siano gia' passati cosi' tanti anni. Racconto la storia di come l'ho vissuto io e mi sento una nonna che ha ancora addosso le sensazioni della seconda guerra mondiale e non ti parla di geopolitica, ma di polvere in bocca e macerie.
Per me il G8 e' una sera a casa di mio marito, che non era ancora marito, in cui decidiamo che fare, se andare anche noi con gli altri o meno. Davanti a un bicchiere di vino e alla pasta al tonno. O forse al risotto. Era l'epoca in cui cercava di convincermi di essere un gourmet sopraffino e in cui mi illudeva di parlare con il riso nella pentola. 
Discutiamo sicuramente di V. e delle altre tute bianche, che vanno senz'altro, anche se poi li arrestano. Era l'epoca in cui cominciavano ad arrestarlo, di M. che si muovera' con la banda e il sax, diciamo che sarebbe bello andare con la sacca da giocoleria. Abbiamo una sacca piena di clavette che girano a piombo, palle morbide da lanciare in aria, cerchi e fresbee. Niente diablo, non siamo mai stati capaci. Nella borsa ci sono anche due nasi rossi da clown perche' da poco abbiamo fatto il corso di clownerie e sopra la sacca, che e' gialla con la corda rossa, ci ho ricamato una scritta: "la vie est dans la rue". 
E' la mia prima fase della decrescita, allora non produco cibo dai semi ma mi vesto di roba per lo piu' usata che trovo al mercato della Montagnola e mi cucio le borse da sola. Le regalo e le vendo anche, su un banchetto per strada. Mi dicono che sono brava, le faccio robuste e non si scuciono mai. 
In fondo non e' molto diverso da ora, questo bisogno di fare cose con le mani e non solo con la testa l'ho sempre avuto.
Comunque pensiamo che sarebbe bello andare a fare giocoleria a fianco delle persone che manifestano, mettersi in un angolo e coinvolgere la gente nei giochi che lasciano adulti e bambini a bocca aperta, anche la cosa piu' semplice, anche le tre palline che girano nell'aria. 
Ridiamo del fatto che V. e M. non approveranno, perche' loro la prendono molto piu' seriamente di noi.
Per noi e' una festa, non ci sfiora nemmeno il concetto di pericolo.
Ne abbiamo fatte tante, di manifestazioni. Io e' dal liceo che manifesto appena ce n'e' la possibilita', perche' trovo cosi' bella questa comunione di intenti alta, intensa, politica per come la politica la vedo io. Siamo capaci. Non facciamo cazzate, nessuno ne puo' fare a noi.
Ci sentiamo innocui e lo siamo. Siamo studenti dell'universita' di Bologna, e' la nostra mezz'ora di ribellione concessa a tutti, stara' a noi continuare a vivere da ribelli dopo, rifiutando sempre la via piu' comoda, qualunque essa sia. Anche quella della manifestazione.
A. sta per partire per gli Stati Uniti, ho un dolore fondo nello stomaco all'idea di non vederlo per cosi' tanto tempo, forse mai piu'. Io partiro' un mese dopo per Parigi, devo fare gli esami, comperare il computer portatile da portare con me perche' nel frattempo hanno inventato il messanger e con il North Carolina comunichero' cosi'. Lo staro' comperando, a rate e facendo un prestito, due mesi dopo, l'11 settembre 2001. 
Mia madre mi chiamera', quel pomeriggio caldo. 
Hanno attaccato gli Stati Uniti, vieni a casa.
Sono seduta sul divano di casa mia a Bologna quando uccidono Carlo Giuliani, con la mia coinquilina di allora. Il giorno prima gia' si era capito, che ci sarebbe scappato il morto, le nostre clavette all'improvviso erano diventate armi potenziali, roba per cui potevi trovarti a Bolzaneto, con una denuncia o un calcio chiodato sulla testa. 
Siamo a casa, con un senso di stupore che non lascia spazio nemmeno al rimorso perche' noi non siamo la' con gli altri a farci ammazzare di botte. C'e' N. ancora la' con Radio Fujico e qualcuno che conosciamo per Citta' del Capo (io non ci lavoro ancora), sappiamo che stanno tutti bene, ma siamo talmente destabilizzati dall'idea che la democrazia sia stata sospesa che non riusciamo nemmeno a preoccuparci dei nostri amici, dei nostri casi particolari. 
Siamo ammutoliti. L'11 settembre, per me e molti altri, e' cominciato quel giorno, quando tutto quello che davamo per scontato all'improvviso non lo era piu', quando manifestare e' diventato una cosa da coraggiosi, quando un aereo puo' finire contro un grattacielo.
Il 20 settembre sono partita per Parigi. Erano giorni lividi, ci si guardava intorno con sospetto in metropolitana. I cestini dell spazzatura erano sacchi trasparenti per evitare le bombe, come se dopo quello che era successo si potesse ancora pensare di prevenire un attentato.
Avevamo tutti un grande punto interrogativo stampato sulla faccia, i pacchetti di A. con le lettere e i regalini dagli Stati Uniti arrivavano tardi perche' c'era il rischio antrace.
All'universita' ho conosciuto per primi i ragazzi con i cerotti. Una ragazza con i capelli corti, rasati da un lato, con un enorme pezzo di medicazione bianca sopra. Lei era stata due giorni a Bolzaneto. Si era fatta tutto addosso per la paura. L'avevano ferita ed era piccola ed esile. Era preoccupata per la denuncia e il processo, i suoi l'avevano mandata a Parigi perche' si distraesse e non ci pensasse, perche' continuasse a studiare e a far finta che non fosse successo niente, in quel paio di giorni. Che lo Stato fosse ancora amico.
C. aveva invece protetto tutti, aveva evitato a tanti le botte. Era la' con un'amica e aveva convinto una signora ad aprire il portone per farli rifugiare tutti dentro. C. e' cosi', un'empatia con il mondo cosi' grande da ispirare fiducia a una genovese terrorizzata solo parlandole al citofono. Spero abbia smesso di farsi troppe canne e di ammazzarsi d'alcool, perche' e' una delle persone piu' pulite dentro che abbia conosciuto. 
Non lo vedo da anni, ci siamo scritti, so che ha una bambina che si chiama Perla.
Oggi, dieci anni dopo, penso a tutta quell'innocenza perduta. Non solo la mia, quella di tutto il Paese, che all'improvviso sa che e' possibile ovunque, e' possibile sempre, che il mondo si rovesci all'improvviso.
Che si va avanti comunque e torna il sole. 
Ma non e' lo stesso.
E non e' piu' per tutti.

mercoledì 13 luglio 2011

Messaggio personale

Chi capira' sara' il destinatario di questo messaggio.
Un messaggio ricevuto via lettera, e via telepatia, mentre si parlava di dubbi presenti e di felicita' future, al telefono.
Un messaggio e un pezzo di giornale, per chiedermi un permesso.
Permesso accordato, libro perso senza spiegarmi come sia stato possibile. 
Grazie in anticipo.
Spero di vederti e abbracciarti presto. 
Ci saro', laica e confessionale, a fianco a te.

Lascia cadere i sassi

Ormai l'ho imparato. Dalle liti con mio marito, anche quelle più cruente, esce sempre qualcosa di buono.
Nel caso delle discussioni dello scorso week end, le parole che mettono pace sono state pronunciate con lui seduto sul water (chiuso) del mio bagno, con me nella vasca a lavarmi via troppo caldo di una domenica afosa e faticosa.
Lascia cadere i sassi, mi ha detto.
Vai in giro con questo zaino pesantissimo ormai da troppo tempo, fatto delle aspettative di tutti e, soprattutto, dalle tue. Nessuno ti giudica, nessuno sta a guardare se fai la cosa giusta. Lascia giù questo maledetto concetto di colpa, di giusto o sbagliato. Cerca di non cercare più il senso di ogni gesto, prova a vivere così, per lo stare al mondo e il fare quello che ci si sente.
Fai un esperimento e vedi cosa succede se ogni cosa che fai non è più il tassello di un programma, un manifesto politico, un urlo al mondo.
Mi ha detto che era giusto cercare di mettere in ordine i tasselli, trasformando la nostra esistenza in un romanzo di formazione, dando una trama ai giorni per poterseli raccontare nella testa e non svegliarsi, un giorno, con la sensazione di non avere vissuto.
Farlo in continuazione, però, è troppo faticoso, si arriva per forza a queste serate nella vasca, con le lacrime agli occhi e la bocca quadrata dei bambini che vanno a letto troppo tardi, riuscendo solo a dire "Non ce la faccio più. Sono così stanca.".
In queste notti sogno di perdere i denti. A volte denti singoli, a volte pezzi interi di bocca.
Con la mia amica d'infanzia abbiamo sempre avuto molta paura, quando ci capitava questa cosa.
Ci hanno sempre detto che è un presagio di morte, un brutto segno. Sempre che non si abbiano in quel momento le mestruazioni, perché allora è solo il cambiamento.
Penso che in questo momento una parte di me stia davvero lasciandomi.
E' quella che porta uno zaino di sassi perché non può non giudicarsi continuamente, quella con la tabella di marcia per monitorare ogni giorno la sua esistenza.
Sto facendo una cosa da pazzi. Rimetto tutto in ballo quando le altre si fermano e costruiscono il nido. Vado lontana dai miei pomodori quando l'orto nel giardino sospeso, raccogliere due peperoni, tre zucchine, due cuori di bue e quattro foglie di basilico mi sembra l'unica cosa sensata che faccio in un'intera giornata.
Vado lontano da lui, che mi interpreta, dà senso, sprona, fa crescere sempre. Che mi fa male, mi costringe a non stare mai ferma. Che mi sembra non capisca, ogni tanto, ma poi a forza di parlarsi e urlarsi viene fuori un concetto nuovo, quello che ci spinge ad andare avanti.
Intanto lascio andare sassi, come un Pollicino che vuole perdere la strada invece che ritrovarla.

martedì 12 luglio 2011

Come regolare un impianto di irrigazione e partire felici per la Cina

Ebbene sì.
Stamattina l'impianto di irrigazione appariva finalmente ben regolato, i pomodori senza foglie gialle e seccumi, la seconda fioritura beata ad aprire fiorellini bianchi e gialli nel sole.
Niente torrentelli a correre per il giardino, né terra crepata per il troppo asciutto.
Rose relativamente secche, ma dopo i marciumi radicali non ci casco più.
Il giardino è pronto per la Cina, spero che i suoceri vengano di tanto in tanto a controllare che non ci siano drammi o emergenze (incubo di batterie che si scaricano e di tubicini che saltano). E anche a raccogliere i pomodori, che è peccato lasciarli lì agli uccellini.
Un po' di tristezza per questo abbandono di tre settimane, ma s'ha da scoprire il mondo. Altrimenti da dove prenderò l'ispirazione per il mio giardino?

domenica 10 luglio 2011

Bestiole e defezione

Oggi parliamo di bestiole.
La premessa necessaria e' di tipo meteorologico. Fa caldo, come deve fare a luglio, un caldo afoso cui fa da contraltare un cielo azzurro insolito in citta' anche in primavera. C'e' umido.
Non come in Cina, dove saro' fra meno di un mese (come faro' a scrivere da la'? Se me la vedro' brutta faro' un quaderno, come si faceva prima del pad, poi lo ricopiero' pian piano nelle sere autunnali). La' ci sono cinquanta gradi e il centocinquanta percento di umidita', ma insomma, anche qui e' piuttosto caldo.
Il giardino e' abbastanza felice. Innaffiature regolari fanno si' che un sano entusiasmo estivo pervada le piante, che crescono e rafforzano i tronchi, si slanciano alla scoperta del mondo - come gli incontenibili glicini - e mettono fuori grandi quantitativi di foglie nuove.
Il limone si e' praticamente raddoppiato, la camelia ha rami sembre piu' alti, che rompono un po' la forma aggraziata e orientale, gli ulivi sono palesemente a loro agio e quest'inverno si raccoglieranno le olive.
L'orto e' tutto un frutto: pomodori in quantita' industriale, peperoni pochi ma molto gialli, zucchine che continuano come sempre a fiorire e a fare piccoli frutti morbidi e buoni.
Tutto questo ameno paesaggio, pero', visto con altri occhi e' un'immensa mensa, dove una pletora di animali vive e si nutre. I nostri amici fra quindici giorni partono per il Kenya. Altro che i big five: il mio giardino e' una savana dall'infinita varieta', mandibole e proboscidi come se piovesse, lotte per la sopravvivenza strenue, equilibri estremamente precari che rischiano da un momento all'altro di far crollare tutto il sistema. Di notte, tutte quelle bestiole puoi sentirle masticare. Di mattina ti toccano potature fuori stagione per eliminare quel che resta di rami di rosa dove hanno banchettato truppe di bruchi.  Afidi a generazione continua, piccolissimi, verdi e voraci. Pigre lumache, che fanno buchi enormi. Orribili farfalle da tronco, di quelle che fanno il buco negli steli e poi muore tutto all'improvviso.
Io capisco schiacciare e schiacciare, ma ormai qui si sta esagerando e ci vorrebbe un esercito di schiacciatori per far fuori tutta quest'orda riproduttiva.
Le coccinelle ce le ho, ma non bastano mica. Ci vorrebbe un tir di coccinelle per arginare i divoratori.
Spero in qualche pioggia che lavi via i fitofagi (anche se poi arrivano i funghi e siamo daccapo), medito sulla gioiosa battaglia che si combatte anche qui. Sempre meglio, anche se non meno cruenta, di altre a cui assisto ogni giorno.
Ieri sera lunghe chiacchierate sulla defezione. Lo so, il tema e' sempre quello e sta diventando noioso, ma sembra essere un argomento che appassiona tutti, persino un ex compagno di universita' che ha fatto il master publitalia, lavora nel digitale terrestre di mediaset, si e' accontentato a lungo della macchina grossa e dei vestiti da figo e oggi, all'improvviso, ha avuto chiaro di essere un ingranaggio della retorica vuota del nostro primo ministro.
Gli sembra di esserci finito per caso, da sonnambulo, pero' adesso vorrebbe andarsene e fare un lavoro che lo facesse sentire meno compromesso. Mah.
La defezione e' strana. Io mi sono data tre regole, per definire quella vera.
Regola uno: deve essere la scelta di qualcuno che ha alternativa. Non dev'essere un ripiego se uno non ce la fa a stare al passo. Credo nella defezione di chi ha successo sociale, dei bravi scolari, delle promesse del tennis. Di chi un giorno si sveglia e sa che ha le forze per cambiare rotta.
Regola due: deve essere vera. Non se ne puo' solo parlare perche' essere troppo convinti di quello che si fa non e' alla moda, non dev'essere un gioco intellettuale e blase'. Di insofferenti alla normalità di un lavoro e una casa ce n'è a iosa, di gente che manda tutto all'aria e si inventa daccapo ce n'è poca.
Regola tre: bisogna che non implichi il rifiuto delle scelte fatte prima, non sia scendere da una nave palesemente in difficolta', perche' se no non e' defezione, e' mancanza di coraggio. Ho lavorato per una multinazionale del petrolio. Ho fatto bene perché si fa sostenibilità dove c'è l'industria, dove ci sono i numeri, dove ci sono le risorse (non solo economiche) per fare le cose in un modo o in un altro. Non me ne pento, anzi. Occorre solo che ci si creda davvero. Tutti, non solo io. In questo momento non mi sembra che sia così.
Se uno ha le tre regole a posto e defeziona gli credo, mi sembra uno che sta tentando una strada nuova.
Se solo una delle regole e' violata, c'e' qualcosa che puzza.
Io, ad esempio, sono abbastanza a posto sulla uno e la tre.
Solo che sulla due ho fallito miseramente, perche' ho deciso di provarci ancora prima di dichiarare che e' proprio il sistema di vita che ho condotto fino ad ora che non va bene. Di capire se in un'altra città, in un'altra azienda, senza la borsa di mezzo può essere diverso.
Quindi evidentemente era ancora il tempo di combattere questa guerra qui, di non inventarne un'altra.
Ancora un po' di voglia di combattere con i bruchi, gli afidi e le coccinelle in questo giardino sempre imperfetto, da qualche parte dentro di me, l'ho trovata. Con fatica, con meno entusiasmo di quello che gli altri manifestano di fronte alla mia scelta. Anche per amore e fiducia nei confronti di un marito che pensa che sia troppo brava per occuparmi di mura ristrette, che debba ancora fare fatica in mezzo agli altri esseri umani prima di scegliere solo bestie e vegetali.
Poi vedremo.

sabato 9 luglio 2011

Il muro di rincospermo

Non avrei mai pensato che il giardino potesse costrure odio invece di pace, che potesse diventare arma di guerra tra me e mio marito.
Invece e' successo proprio questo. 
C'e' un muro di berlino, peraltro ricoperto di rincosperno, che ci separa. Da un lato, i gatti ed io, simili come sempre, innamorati di quello spazio che, in modi diversi, ci siamo costruiti. Io piantando, seminando, creando un posto sicuro e vivo dove c'era il tetto di un magazzino. I gatti ritagliandosi angoli d'ombra, trovando nuove cucce per dormire, trasformando pergole in scale per accedere a tetti da cui difendere la propria casa, come guardie sulle guglie di un castello. 
Dall'altro c'e' lui, di cui di tutto questo non importa niente.
Non lo soprende un peperone che credevo verde e che diventa giallo, una talea d'ortensia che mette le foglie, non si preoccupa per l'ingiallimento di troppe foglie di pomodoro cotte dal caldo o per i mille piccoli bruchi che mangiano le rose (e che sono tra l'altro bellissimi, trasparenti, con il faccino, cosa che mi rende schiacciarli molto piu' doloroso che con un afide). 
Gli pesano i pochi lavori in cui devo coinvolgerlo per forza, perche' non sono capace o sono troppo faticosi. Mi spiace, non sono hulk, ottanta litri di terra da sola faccio fatica a girarli.
Non riconosce nemmeno la competenza, le mille cose di valore che ho imparato, leggendo e provando in questi mesi. Non gioisce di un successo, sbuffa nel sentirmi descrivere una delle mille magie che ho scoperto su un forum o in un libro.
A volte vorrei parlare con lui della differenza fra teorici della potatura e giardinieri che non poterebbero mai, perche' secondo me c'e' dentro una diatriba sociologica, il credere o meno che il mondo si possa manipolare per renderlo piu' forte, sano, o solo per gestirlo.
Mi prende per una pazza. Per lui e' follia il solo avere il dubbio se rifiutare una proposta di lavoro per non abbandonare tutto questo.
Alla fine, lo dico anche a voi dopo averlo ripetuto fino alla nausea alle persone che mi sono intorno, ho accettato di andare a Parma, martedi' scorso ho dato le dimissioni dalla mia azienda e dal 19 settembre saro' lontana dal mio giardino, dai miei gatti e da lui (l'ultimo posto nella lista oggi e' obbligato) dal lunedi' al venerdi'. 
E' stata una scelta sofferta, perche' in realta', in questa fase della mia vita, non percepivo questa scelta come una vera alternativa. Mi sembrava comunque che cio' che avesse valore fosse altrove, in una dimensione molto lontana da quella del lavoro, molto piu' vicina a pepetrolio, ai pomodori, a un figlio non nato che adesso dovra' comunque aspettare ancora. 
Ho deciso, abbiamo deciso, di darmi una possibilita' per entusiasmarmi di nuovo del mondo.
Puo' darsi che la' sia diverso, che in una citta' piu' piccola, in un'azienda sana e familiare, che unisce il meglio di una bella tradizione a un respiro mondiale che comunque e' stata la mia aria fino ad oggi, in un'azienda che si occupa di cibo e non di petrolio (ah, giusto, ma adesso devo chiamare il blog "pan di fragole" o "ortensie e tarallucci"? Mah, vi sapro' dire), io trovi un nuovo senso di partecipazione alle sorti globali attraverso l'istituzione - azienda, che cosi' poco valore ha avuto negli ultimi mesi, a parte il senso di soffocamento del rubarmi la vita.
Non lo so se sara' cosi', se trovero' nuovo slancio e forse non avro' piu' tempo di scrivere, rimettendomi a testa sotto, in apnea, a illudermi di vivere. 
Altrimenti tornero' qui, al mio giardino, a ritrovare il respiro calmo che mi tramettono le fusa della gatta piccola, l'ondeggiare dei fiori di oleandro, il sole implacabile da cui sfuggire nel pomeriggio.
Non so se mio marito sapra' mai capire questo cambiamento di prospettiva, questa diversita' radicale che mi ha presa e che rifiuto di chiamare rassegnazione e rinuncia. 
Mi sembra che mai come ora ci sia differenza nei generi, nel cervello di un maschio che mai potra' accettare il tempo ciclico delle stagioni, nel quale le persone cambiano perche' e' naturale che sia cosi' e non per lo scopo di una linea retta, in cui le sorti magnifiche e progressive altro non sono che il testimone che si passa fra generazioni, i risultati che si possono ottenere con la testa e le mani, il senso profondamente politico di fare quello che ci si sente e non sono quello che l'educazione, la scolarizzazione e le aspettative altrui ci hanno insegnato a fare.
Non so se mio marito riuscira' mai ad amare quella che io in questo momento sento come una grande liberta' interiore, che per lui e' solo obbedire a un cartello che indica per le ragazze della mia eta' la strada della maternita' e la vita della raccoglitrice di frutti.
Intanto guardo monolocali a Parma in cui cerco comunque un piccolo balcone. Per avere un pomodoro e un peperone forse senza senso. 
Che per me oggi rappresentano qualcosa a cui non voglio rinunciare, un angolo di bellezza da chiudere nella valigia con cui comincero' questo pezzetto nuovo della mia esistenza.

giovedì 7 luglio 2011

Metti una settimana...

Metti una settimana in cui hai da prendere una decisione importante e sopportarne le conseguenze burocratiche.
Metti uno spettacolo teatrale una sera e il tuo anniversario di matrimonio (oggi!).
Metti che vai in giardino un po' piu' distratta e affidi all'impianto d'irrigazione automatico la cura delle piante...
Ti svegli una mattina e una delle tue rose preferita e' fatta solo di bastoncini senza piu' una foglia nuova, perche' un esercito di bruchi sta facendo un party.
Che settimana difficile, speriamo di farcela. Con tanti racconti e senza perdere il dono del tempo, che continua a restare il più prezioso per il mio giardino e per me.

domenica 3 luglio 2011

Mea culpa

Confesso.
Stremata dall'oidio, dalla ticchiolatura, da un sospetto marciume radicale nella rosa di fosso ho ceduto alle lusinghe della chimica.
Venerdi' sera, con il capo cosparso di cenere, sono andata alla Coldiretti.
Prima mi sono aggirata fra i biscotti biologici al farro, ho raccattato sei scatolette di pappa molle per la gatta piccola, ho indugiato a lungo fra i mieli con cui dolcificare il te' alla menta. 
Poi, dopo una lunga deviazione fra i tubi per l'irrigazione, mi sono avvicinata al bugigattolo dell'omino dei veleni.
Ho tirato fuori il cellulare con le foto dei miei drammi da pioggia, ho raccattato scatole e boccette con le relative prescrizioni e sono andata alla cassa, sentendomi un'assassina di povere bestiole e spaventata per i gatti, che bevono l'acqua dei sottovasi.
Oggi ho miscelato i preparati e ho innaffiato di robaccia le mie piante perplesse, facendo ben attenzione a non bagnare l'orto, perche' non voglio privarmi della serenita' di raccogliere quello che e' maturato per fare il contorno la sera.
Fa molta puzza, quella roba antifungo, pero' spero salvi le mie fioriture ammaccate da temporali e soli improvvisi.
Ho ceduto e mi dispiace di non avercela fatta nemmeno quest'anno, a far funzionare tutto di puro ecosistema, ma ogni anno le dosi sono sempre piu' piccole,  le erogazioni sempre piu' rade, ogni volta e' piu' per emergenza. 
Un giorno il mio giardino fara' tutto da solo. 
Stasera voglio pensare che abbia tanti anni davanti in cui trovare un equilibrio.
Come me.

venerdì 1 luglio 2011

Ode a una sigaretta che non c'e'

Dovete sapere che ho smesso di fumare. 
Fumavo tanto, un pacchetto di diana blu e anche un pacchetto e mezzo, nei giorni particolarmente nervosi. 
Mi alzavo dalla scrivania e andavo a fumare in saletta fumatori. Ci mettevo la meta' del tempo degli altri, pensavo un po', mi facevo un discorsetto nella testa, tornavo piu' lucida e mi risiedevo sulla mia sedia. 
Ho smesso in circostanze totalmente casuali, che vi raccontero' un'altra volta.
Soprattutto ho smesso perche' avevo smesso di fare le scale per non misurare se avevo il fiatone. Ho smesso perche' avevo male alla schiena, come delle fitte di tanto in tanto e pensavo fosse cancro ai polmoni. Ovviamente le fitte, da bravo dolore psicosomatico, sono scomparse con l'ultima sigaretta. Ho smesso perche' a ogni colpo di tosse controllavo di non avere un gusto metallico in bocca, perche' temevo di sputare sangue. Ho smesso perche' ho la pelle trasparente, vedevo le piccole vene sotto e monitoravo il loro diventare viola, perche' ci vedevo dentro i prodromi di una morte cianotica.
Quella che ha fatto mio nonno, che mia madre mi raccontava ogni volta che mi vedeva accendere una sigaretta. "A ogni crisi respiratoria che superava mi diceva tu non sai quanto sia bello respirare. Poi, una volta, non e' riuscito a dirmelo piu'". Aveva cinquant'anni e cinquant'anni non mi sembrano piu' cosi' tanti. 
Ho smesso perche' sono ipocondriaca, questo lo sapete gia', e non tutto il male vien per nuocere, no?
Comunque. In questo momento esatto vorrei una sigaretta.
Sapendo che mi sentirei terribilmente in colpa, mi darei dell'idiota perche' dopo tanto tempo e conoscendo l'angoscia di monitorarsi continuamente il respiro ci vorrebbe proprio una cretina.
Pero' vorrei una diana e un accendino, da non usare per accendere l'incenso (che, tra parentesi, mi sa che e' cancerogeno pure quello). 
E' arrivata la proposta scritta dall'altra azienda. Scritta, non piu' rassicurazioni e chiacchiere al telefono. Una serie di fogli di carta con stampate su le cifre, i ruoli, le condizioni eccetera eccetera. 
Quello che non c'e' scritto e' che fra me e quel lavoro ci sono cento chilometri di autostrada, un monolocale in affitto, lunghe notti da sola, niente bambini ancora per un po', i gatti che miagolano e le piante che appassiscono.
Oppure che c'e' una casa in campagna sulle colline, i gatti felici e ancora piu' liberi, sempre che si possa essere piu' liberi di cosi', bambini che nascono in cittadine dal welfare sicuro e glicini e rose piantati finalmente per terra. 
Qui cosa c'e'? C'e' la mia citta', il mio sindaco che non potra' contare sul fatto che non lo lasci solo, i miei vicini e le mie sere nel giardino a scrivere pepetroli. C'e' mio marito a casa troppo tardi la sera, la mia collega amica che non abbandono perche' se resto nella mia azienda mi allontano di un piano e di un corridoio. 
Sto facendo come la merla che costruisce il nido, qui dentro. Sto portando rametti e foglie secche, costruendo stabilita' e certezze provvisorie. Sto facendo il buco e mi ci sto nascondendo dentro. Ma sto anche scoprendo parti di me dimenticate da anni, sto scrivendo, cazzo, scrivendo quasi tutti i giorni di pensieri miei. Sto allevando esseri viventi che crescono in gran quantita' (nonostante il cruccio della salvia che deperisce senza un perche', rinnovo l'appello a chiunque abbia avuto nella vita una salvia che si suicida lentamente senza apparente motivo, ditemi cosa posso fare per motivarla a stare al mondo). 
Non sto mettendo un romanzo nel cassetto, sto mettendo la mia vita in rete. 
Sto amando persone, animali e vegetali a cui regalo presenza e non distanza, sto facendo un cuccia per i gattini che non so ancora se verranno. Sto lasciando un'utopia di cambiamento teorico del mondo per un esempio concreto di come si puo' vivere oggi cercando la pace con il prossimo, che per sua essenza e' vicino e, a volte, nemmeno troppo simpatico.
Cambiare lavoro, cambiare azienda non mi sembra un cambiamento vero. Come passare dal Vietnam all'Iraq. Sempre un mercenario resti. Non si scardinano le logiche, non si risolve il problema.
Stamattina ascoltavo la radio. Tutte le mattine in macchina sento l'inizio del programma di un giornalista che si chiama Giannino, forse ce l'avete presente. Ecco, Giannino e' una delle persone che riescono in modo piu' efficace a delineare la mia identita' politico - ideologica di statalista socialista pubblicista. Il fatto e' che si tratta di una persona molto intelligente, molto colta e preparata. Che dice una serie di cose. Con cui io non sono mai d'accordo. 
Il fatto di sentire un pensiero articolato, complesso e colto di tipo liberista antistatalista e privatistico mi convince del fatto che credo quel che credo non perche' dall'altra parte non c'e' pensiero, perche' ho dei preconcetti dovuti allo schifo che mi fanno gli attuali governanti di questo Paese, ma perche' esistono effettivamente posizioni diverse su temi importanti e io so quale abbracciare. 
Era una digressione.
Stamattina Giannino non aveva ancora cominciato il suo programma e alla radio davano un bollettino della borsa. Il giornalista, con somma indifferenza (o soltanto il consueto sonno, che capisco bene), ha detto che il titolo x aveva avuto un aumento di valore del sette per cento, che i mercati avevano premiato il piano industriali di efficienza e ristrutturazione, che includeva mille esuberi.
Il fatto che a mille persone per strada corrispondessero sette punti per gli azionisti, scusate l'indignazione banale, mi ha fatto venire voglia di girare la macchina e tornare a casa nel letto.
Non ci voglio lavorare piu', per favorire, o, dato il mio mestiere, giustificare, logiche idiote di questo tipo. Passare da un padrone all'altro non mi fara' convincere che e' giusto cosi', che all'improvviso ci credo di nuovo, nello sviluppo sociale affiancato a quello economico. 
Mio marito la pensa in modo diverso. Lui mi spinge molto, su questo cambiamento. Dice che non bisogna smettere di combattere per l'uomo astratto, per il bene astratto. Che l'uomo quando diventa il vicino, il bene quando diventa il tuo, sono obiettivi troppo minimali per cui lottare a trent'anni, che quello puo' essere il come si vive, ma non il per cosa si vive.
Dice che bisogna continuare a fare i cani da guardia dentro alle organizzazioni, che occorre provarlo con l'esempio e la pratica quotidiana che si puo' perseguire un bene maggiore, senza ritirarsi in paradisi perduti costruiti giorno dopo giorno, con le proprie mani, in giardini di citta'. 
Dice che sono troppo brava per mollare ora. Che e' troppo presto. 
Che scegliere un lavoro piu' piccolo e semplice, almeno in apparenza, nella mia azienda per sperare di ridurre le ore e il coinvolgimento in ufficio e' un errore di cui posso pentirmi amaramente.
Mi ricorda quanto abbiamo odiato gli autori televisivi che leggevano Guerra e Pace in privato e propinavano Non e' la Rai agli spettatori, convinti che si potesse essere intellettuali in casa e populisti al lavoro. Sicuri di essere piu' intelligenti della massa, che in fondo quello era "solo lavoro" e che la loro identita' vera stesse nelle chiacchiere in salotto con pochi eletti.
Mi dice che la politica, quella vera, si fa stando in mezzo, non a lato.
Mi rammenta che sporcarsi le mani ha un significato piu' ampio che raccogliere terra sotto le unghie mentre si estirpa un'erbaccia dal peperone. 
Non lo so se ho ancora la forza di dirgli che ha ragione.
Penso che tutto il pianeta sia al mio stesso bivio. Il confine fra defezione e cambio di paradigma e' molto labile, non sapro' mai se in questo momento mi manca coraggio o ne ho troppo per questo tempo bastardo, di scarse ideologie collettive a guidarmi il cammino. C'e' la volpe e c'e' l'uva. Io l'uva posso raggiungerla, ma non so se la voglio mangiare. 
Non so nemmeno se sia uva o se sia un'illusione di evasione. Puo' darsi che restare nella mia azienda a fare la crumira del sistema che a casa ha un bellissimo giardino su cui ritirarsi a scrivere mi renda effettivamente una persona peggiore. Ma anche fare l'utile idiota che continua a lasciare la vita su una causa gigantesca di nome sostenibilita', che finisce per essere un alibi per fare soldi, mi sembra altrettanto deprimente. 
Sotto tutto questo, ma e' un discorso troppo ampio per affrontarlo adesso, c'e' anche il dubbio atroce e la rabbia sorda di sapere che essere donna e avere un orologio biologico che ticchetta e' una variabile non indifferente di questa lotta fra pubblico e privato, fra conservazione e innovazione.
Il dubbio di non essere lucida mi da' alla testa. Come il fumo di quella sigaretta che non posso piu' accendere, ma che continua a farmi anelli davanti agli occhi, impedendomi di vedere chiaro e di scegliere, con serenita', quale giardino vale la pena di coltivare.