domenica 13 novembre 2011

Leda in salamoia

Week end giardiniero per preparare cortile del condominio e giardino a un inverno che tanto sembra non voler arrivare.
Trapiantati pesco e albicocco in vasi molto piu' grandi, riaggiunta la terra dove si era abbassata nelle innaffiature di una lunghissima estate.
Il limone e le aromatiche sono finite sotto al portico, per non soccombere nell'umidita' sotto i cinque gradi della notte.
Restano le begonie come ad agosto, i pomodori punteggiati di fiorellini gialli e le rose, le mie amate rose, che continuano a sbocciare indefesse.
Mah, e' tutto molto strano in questo autunno caldo anche dal punto di vista politico, con l'orribile vecchio gonfio che se ne va e la gente non ci crede, sembra sia impossibile che sia finita.
In tutto questo, le olive sono in salamoia.
Ho cambiato ricetta in corsa, trovandone una con tempi piu' brevi. Questa prevede il sale a 120 grammi per litro d'acqua per quaranta giorni, poi venti giorni al 60% nella salamoia di conservazione. Ho messo rametti di rosmarino a tenerle sotto la superficie. Ho le mani profumate e il pensiero che corre a febbraio.
Se anche finisse il mondo nel 2012, e' meglio che accada con le olive in dispensa.

martedì 8 novembre 2011

Aggiornamento sulle olive pendolari

Come alcuni di voi avranno intuito, il mio mezzo chilo scarso di olive fa il pendolare come me.
Infatti è necessario cambiare l'acqua tutti i giorni e, sinceramente, affidare al coniuge anche questa incombenza sarebbe stato abusare della sua pazienza.
Metto un asterisco e apro una nota a pié di pagina (scusate, ma con la maschera di blogspot non so come si fa).
Nota a piè di pagina. La lista dei compiti del marito al momento include: nutrizione, pulizia e coccole ai gatti; annaffiatura di tre talee di edera che furono un giorno decorazioni verdi di un matrimonio e che hanno messo radici in acqua - sottotitolo "hanno fatto le radichette, vorrai mica buttarle via"; annaffiatura di tre talee di rosa destinate a popolare il terrazzino della città bassotto, ma solo se non piove; formulazione di un messaggio di saluto e aggiornamento sulle faccende della settimana per la signora delle pulizie che viene il mercoledì; manutenzione del vicinato, che si sente solo in mia assenza; consolazione della moglie a cui manca tutto, incluso il vicinato. Fine della nota a piè di pagina.
Le olive, dicevo, fanno le pendolari. Stasera sulla superficie dell'acqua era comparsa una specie di schiumetta, che avevo letto essere assolutamente normale e segno di evoluzione del processo attraverso il quale le nostre amiche perdono il sapore fetido che hanno appena raccolte e diventano commestibili.
Non ho resistito e ne ho assaggiata una.
Squilli di tromba: fanno ancora schifo, ma giuro che cominciano a sapere di oliva e sembrano avere il potenziale per diventare incredibilmente gustose e profumate.
La soddisfazione è massima, anche se attendo per gioire di avere fatto la salamoia.
Ultima confessione della serata: sapete cosa ho fatto del nocciolo dell'oliva che ho assaggiato?
Sta seccando in una tazzina per essere interrato fra qualche settimana, appena avrò portato giù un po' di terra.
Verrà su un olivo nella città bassotto?

domenica 6 novembre 2011

Il mondo dei panettieri che sorridono - pensieri sul precariato

Il nuovo lavoro si porta dietro, come sempre, alcune cose interessanti. Che, come spesso accade, hanno poco o nulla a che vedere con il lavoro in quanto tale.
Fra queste ci sono le persone che incontro. L'azienda della città bassotto è divisa nettamente in due sociodemo – come direbbe mio marito.
C'è la vecchia azienda, tutte persone nate e cresciute lì, con l'accento pesante. Sono loro che hanno fatto quel posto e quella pasta, sono a casa fra le nebbie e le case buttate come dadi nella pianura. Tutta gente per bene, così mi sembra, solo assediata come castellani medioevali.
Sotto le mura ci sono i barbari, mi consenta Baricco di usare la sua terminologia perfetta e abusata. I ragazzi e le ragazze dagli accenti diversi assunti negli ultimi anni per portare quel luogo in un millennio diverso ed estraneo. Quelli che parlano in mensa in inglese con un coetaneo indiano, perchè l'unica differenza che non riescono a sormontare è proprio quella con i nativi della città bassotto.
Quelli romani e quelli filippini, quelli alti e quelli scuri, scuri in una città in cui il razzismo è sdoganato come il marrone insieme al blu nei vestiti.
Quelli con il contratto a termine, o lo stage, o la neoassunzione, che li rende al contempo arrabbiati e allegri. Arrabbiati con loro, i castellani, pasciuti e sazi e apparentemente nullafacenti dietro le loro torri di garanzie. Allegri perchè il precariato li lascia leggeri, non li obbliga a pensarsi lì per sempre.
E qui viene il punto interessante. E' successo qualcosa, secondo me, qualcosa con cui nel tempo la società del mutuo e del posto fisso dovrà fare i conti.
Per tutte queste persone la prospettiva di pensarsi fra le dune di pianura per sempre fa molta tristezza. La stabilità è per loro il sogno di qualcun altro.
Mi sento meno sola, quando parlo con loro.
Diciamo tutti le stesse cose, ed è rasserenante.
Soprattutto le ragazze sono tutte brave bambine come me. Siamo la generazione di quelle che hanno preso ottimo alle medie, sessanta alla maturità e centodieci e lode all'università.
Quelle che hanno sgomitato per entrare nel mercato del lavoro, anche più, forse, di quanto fosse necessario, convinte da madri che avevano fatto fatica sul serio che gli uomini fossero lì agguerriti ad ostacolarle. Quando in realtà erano troppo stupiti anche solo per accorgersi che stavamo arrivando e preparare una controffensiva.
Siamo noi, che ci siamo scoperte brave quasi con sorpresa, perchè in fondo è facile sembrare geniali, basta continuare a fare quello che ci hanno insegnato fin da piccole. Siamo le secchione di turno, fare tutti i compiti e studiare e garantire presenza e attenzione ci sembra il minimo, quando per molti - generazioni intere che hanno lavorato prima di noi - è oltre il massimo. Basta davvero poco in questo mondo per ritrovarsi apprezzate, se sei fatta come noi e sei in questa fase della vita, ancora senza bambini e doppie carriere a complicare (e rendere affascinante) lo schema.
Solo che siamo infelici nel nostro successo apparente.
Ci ritroviamo a trent'anni, qualcuna qualcosa in più qualcuna qualcosa in meno, con la percezione chiarissima che abbiamo fatto tutto per soddisfare gli altri che abitavano la nostra coscienza. Soprattutto le altre, penso, le nostre madri.
Vi ho detto spesso che quando a tre anni qualcuno mi chiedeva cosa volevo fare da grande, rispondevo sempre “fioraia”. Tutte noi abbiamo risposto qualcosa di diverso da quello che siamo ora: erboriste, panettiere, sarte, giornalaie, mamme. La cosa che fa male è che si tratta sempre di mestieri semplici, per molti più umili di quelli che facciamo oggi.
Mica volevamo fare tutte le astronaute o gli ingegneri nucleari.
Cosa ci ha impedito di diventare quello che volevamo?
Siamo ancora in tempo per cambiare oggi, senza perdere la faccia davanti a chi ci ha cresciuto e conosciuto ambiziose e brave e secchione?
La risposta per molte di noi è pensarsi o essere "a tempo". 
Non avere più il mito del contratto a tempo indeterminato, oppure guardarlo come l'ennesimo tick di un questionario che non compiliamo più. 
Qualcuna non riesce ad accedervi, è vero, ma non si tratta della volpe e l'uva, ve lo assicuro.
Chi sgomita per quel contratto lo fa spesso per puntiglio, come estremo gesto della cocciutaggine o della debolezza di dover dimostrare.
Tutte quelle che non ce l'hanno ancora ce l'avranno, solo per essere più infelici di prima per un po' di tempo, finchè non capiranno che nulla è cambiato.
Non so cosa significherà per la società nel suo complesso avere una generazione intera, forse anche di più, che ha cambiato radicalmente paradigma, almeno nella sua componente femminile (i maschi mi sembrano ancora più sereni nel modello che hanno inchiavardato loro in testa, ma forse è solo una mia impressione. Se non vogliono il posto fisso è perchè non si sentono ancora pronti a fermarsi, non perchè stiano mettendo in discussione il fatto stesso di fermarsi).
Penso che sia tutto molto distruttivo, non c'è niente come un contratto e un mutuo per cancellare nella gente il ricordo di cosa voleva fare a tre anni.
O forse è l'inizio di un mondo, in cui i fiorai, i sarti, i panettieri e i giornalai finalmente sorridono.

giovedì 3 novembre 2011

La tana dello scoiattolo

Ieri sera ho dormito per la prima volta nella casa bassotto della città bassotto.
Mi sembra la tana di uno scoiattolo, perchè per la prima volta da quando sono qui ho dormito bene.
Così bene che mi sono alzata tardi e ho fatto tutto di corsa.
C'è aria di me, là dentro. C'è il legno per terra, la luce che entra da tende molto bianche, è tutto chiaro e pulito e a metà fra vecchio - vecchissimo e nuovo che è come intendo io la casa.
Ci sono le foto delle papere che ha fatto la persona che se n'è andata troppo presto, foto rovinate e sciolte da una lunga permanenza in cantina, che sono quasi astratte.
C'è il mio tappeto per sedermi per terra e i fiori in un vecchio vaso.
C'è anche il computer, settimana prossima ci sarà internet e si potrà scrivere pepetrolio invece di abbrutirsi davanti alla TV.
Quando entri c'è Steve Jobs che ti guarda perchè ci sono ancora pochi libri e uno, sulla mensola, è la sua biografia appena uscita. Voglio capire meglio chi è, mi ci sono imbattuta così tanto da quando sono qui che mi ha incuriosito con i soliti vent'anni di ritardo sul mondo (non sono una persona molto avanti, ve l'avevo già detto? Non prevedo le mode, nè i personaggi che diventeranno cool, nè comincio a interessarmi alle tecnologie e agli scrittori prima che diventino di massa. Sono la pancia della gaussiana, quella bella cicciotta).
La sera prima che morisse stavo leggendo Libertà di Franzen, più che altro per vedere se era un caso letterario fittizio o se era bravo davvero - e, tra parentesi, mi pare bravo davvero.
Ad un certo punto c'è una tirata sulla Apple, sulla multinazionale conservatrice per sua essenza organizzativa, che riesce a diventare per un caso abbastanza straordinario di capitalismo recombinant un simbolo della sinistra.Con un modello chiuso come quello di Microsoft. Con prezzi tutt'altro che democratici. Vendendo cose belle e il sogno di diventare belli acquistandole.
Stavo pensando che condividevo abbastanza questo modo di vedere la cosa, che mi aveva sempre fatto diffidare istintivamente di quelli "O apple o niente".
La mattina dopo Jobs non c'era più. E io ascoltavo commossa "Stay young", pensando a quanto è faticoso e necessario restare giovani, a quanto nel mio piccolo tutto quello che stavamo facendo lo facessimo (io e A.) per restare giovani e folli, per non accomodarci nella zona di agio...
Per questo Steve Jobs sta lì a guardarmi con una benevolenza che non mi avrebbe mai riservato da vivo. Guarda le ciotole delle olive che ho portato dal mio giardino, che stanno in acqua a perdere l'amaro.
Guarda i barattoli con la mia menta già secca per le tisane del raffreddore.
Guarda le molte foto di noi due in viaggio. Le foto dell'ascella, le chiamiamo, quelle che ti fanno i turisti come te con la tua macchina fotografica, in cui io sto sotto l'ascella di A. e sorrido con i bidi in fronte, scialli a coprire spalle non abbastanza musulmane o indù o cattoliche, braccialetti e collane di legno raccattate ovunque come una madonna di pompei orientaleggiante.
Penso che sia contento di stare nella mia tana dello scoiattolo, il rifugio per un inverno che non so ancora quanto durerà, ma che grazie a quel posto diventerà accettabile.
E forse un giorno, se non riuscirò per sempre a restare giovane e folle, se anch'io, come tutti, mi troverò ad abitare nei ricordi, troverò sia stata persino una bella stagione.

martedì 1 novembre 2011

Autunno in rosa

Il freddo le fa quasi viola
Oggi indulgo in orrende fotografie del mio giardino bellissimo nel sole annebbiato di foschia dell'autunno. Lo faccio per me stessa e non per voi, per ricordarlo nella città bassotto e per sospirarlo quando le rose, queste compagne incredibili della mia vita, che quest'anno hanno saputo sorprendermi da aprile a novembre, saranno solo bastoncini spinosi.
Rosa, poi verdi, poi rosa: il destino di un'ortensia

L'ultimo dei moicani

Le olive prima della raccolta
Ah, giusto per spirito di servizio: la ricetta che sto seguendo per le olive in salamoia e' questa qui.
Speriamo che funzioni, ma sembra imparata dalla nonna, quindi mi fido. E, tra parentesi, sono quasi sicura che se dovrò buttare via il raccolto sarà colpa della mia incompetenza e non dei preziosi consigli del web.
Al momento le guardo, le bado e spero, perché è un bel pensiero invernale, quello di fare a marzo la prima insalata di riso con le mie olive.
Nere o verdi, speriamo che vengano
Qualcuno sa perchè tutti i colori dei fiori sono così vivi, in questo momento dell'anno? Qualcuno ha una risposta sui misteriosi meccanismi di impollinazione che trasformano una rosa il resto dell'anno orgogliosamente candida in un fiore a pois rosa acceso?
Sembra che il giardino si sia fatto di allucinogeni.
Oppure, questo è il pensiero triste e antropocentrico, che voglia attirare l'attenzione di una giardiniera distratta, che dal lunedì al venerdì sparisce senza ragione lasciando alle erbacce troppo tempo per diventare più alte delle occupanti ufficiali dei vasi. Un po' come la gatta piccola, che fa la cacca sotto al letto quando ha paura che mi dimentichi di lei.
Forse invece ha ragione mio marito, che guarda lo spettacolo selvaggio e trova che le piante, così come gli animali, trovino una certa soddisfazione dalla maggiore libertà che lui lascia loro.
Non so quale sia la prospettiva, che varia con il mio umore, ma in entrambi i casi è così bello tornare e trovarli tutti lì, nella loro vita autonoma che è la mia.

Bianche e violente

Bianche a pois