venerdì 3 giugno 2011

Il cane di Jackson Pollock

Non mi sono mai piaciute le esposizioni di cani di razza, le uniche che amo sono le feste del bastardino. E' li' che la genetica da' il meglio di se', unita alle difficolta' della vita che formano il carattere, senza far perdere la dolcezza.
Ricordo un'esposizione dei piu' brutti cani del mondo che vidi per caso in un parco un anno fa circa, prima di traslocare da questa parte della citta'. Non c'era un orecchio della dimensione giusta, non una zampa proporzionata al corpo, non un naso o una coda che esprimessero classe e distinzione. I peli, poi, erano terribili. Mix di colori senza disegno, tavolozze di Jackson Pollock sui soli toni del marrone o del grigio.
Quei cani, pero', avevano una socievolezza diversa da tutti: curiosi verso i propri simili, tutto un annusare di sederi e naso contro naso, guardavano il loro essere umano d'elezione, il capobranco, con la certezza che sarebbero morti per lui. Con diffidenza non ostile tutti gli altri. Il messaggio era chiaro: non parto prevenuto, non penso che tu voglia farmi male, pero' aspetto di averne la prova - una mano allungata bassa per una carezza non imposta, uno sguardo basso, un tono di voce amichevole - perche' purtroppo la vita mi ha insegnato a fare cosi'. Bestie coraggiose per forza, violate nell'ingenuita', ma per questo piu' vive e capaci di resistere. Alla pioggia e alla fame, alla cattiveria e al tradimento.
Oggi il mio vicino di casa ed io abbiamo eseguito un'operazione di salvataggio di un fico. Lui soldato scelto in missione speciale, io crocerossina, siamo partiti per la missione, che spero sia riuscita.
Non che il fico l'avesse chiesto, poteva farcela anche cosi'. Noi pero' abbiamo pensato che si fosse gia' guadagnato le sue mostrine da sopravvissuto, che ora potesse aspirare a una vita diversa.
Era nato chissa' dove, la vita l'aveva portato in un tombino, dove cresceva su sabbia e rifiuti. Spuntavano solo alcune foglie oltre la grata, e' da li' che l'abbiamo visto. R. si e' calato nel tombino e l'ha estirpato, non con molta delicatezza, devo dire, ma con uno strappo deciso. L'ultima sofferenza, prima di essere infilato in un bel vaso grande di terra vera, con molto concime e acqua in abbondannza per far riprendere le radici dal trauma.
E' storto come quei cani, proprio brutto. Ha diversi rami a crescita casuale, e' venuto su al buio, con solo il capriccio di un raggio di luce a guidarne lo sviluppo. Le foglie sono di un bel verde brillante nonostante tutto, pelose come solo le foglie del fico sanno essere, ma sottilissime, come di una pianta albina, come il bambino imprigionato nel pozzo du un libro splendido e di uno splendido film, Io non ho paura di Ammaniti e Salvatores.
L'abbiamo legato a due bambu' troppo corti perche' trovi finalmente un supporto, perche' possa riempirsi di foglie, l'ho pulito con la canna dalla polvere e dalle ragnatele perche' respirasse meglio, l'ho innaffiato con acqua fresca.
Immagino lo stupore che non sa dirmi, gli occhi stretti per tutta quella luce che sono certa non abbia mai visto e il fastidio per il sole, che ha cosi' a lungo cercato da dentro al buco.
Penso che sara' felice, come il cane randagio quando trova il padrone. Spero nessuno gli dica che e' brutto, perche' invece, almeno per me, e' l'incarnazione della bellezza. Perche' ce l'ha fatta, perche' ci ha creduto, perche' non si e' mai lamentato per la sfiga di un seme o di un frutto marcio che cadono proprio li', nel tombino di una cantina, in un cortile lastricato che, con fatica e neanche un soldo, stiamo piano piano facendo diventare un giardino.
Non c'e' niente di commovente, in tutto questo. Non e' una storia edificante di chiusura di un telegiornale filogovernativo.
E' la brutalita' della vita, con tutta la sua violenza e crudelta', con la speranza che porta, se solo uno sa ascoltarla in un fico o in un cane spruzzato di Pollock.

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