domenica 4 settembre 2011

Il futuro e la zucchina

Complice una lunga pioggia che mi ha esentata dall'innaffiare, finalmente riesco a sedermi a scrivere. 
Il giardino si asciuga e la gatta piccola si riprende all'ombra da un attacco di vermi di cui preferisco non descrivere le conseguenze sulla casa. Il gatto grande, indifferente a qualunque dramma domestico, si gode la nostra presenza, anche se non ha mai dubitato che tornassimo. 
Perche' poi non dovevamo tornare? Per restare in Cina? No, grazie. 
Avevo promesso un quaderno, che e' morto al quarto giorno. Le ragioni sono diverse. La prima e' che mi faccio un vanto di mantenere ironia nelle mie descrizioni del mondo. La' non ce la facevo. Sono stata investita dal brutto in modo cosi' violento che scriverne mi faceva rabbia o mi faceva piangere.
Il secondo motivo e' che dopo poche ore avevo un giudizio su quello che stavo vedendo e, soprattutto, sulle persone con cui interagivo, che purtroppo non e' stato smentito nei giorni successivi, quindi il diario rischiava di affogare nella noia e nel lamento.
Infine, scrivere mi faceva pensare a momenti come questo: il dondolo in giardino, il cotto umido sotto i piedi, i gatti nel verde smeraldo che viene dal sole dopo un temporale e una farfallina bianca che svolazza incurante del pericolo che corre di essere mangiata. Non riuscivo a non chiedermi cosa ci facevo la', nel vuoto pneumatico di una finta modernita', mentre tutto quello che mi importa succedeva a sei ore di fuso di distanza.
Sarei una cretina se pretendessi di dare un giudizio esaustivo su un continente per averci messo piede per poco piu' di venti giorni, posso solo dire che quello che ho visto mi rifiuto di credere sia il futuro. 
Non perche' non mi piace. Ci sono un sacco di cose che non mi piacciono, ma dicono qualcosa del nostro domani. I giudizi morali non plasmano la realta', per fortuna e purtroppo.
Semplicemente perche' io non ho visto niente di nuovo o innovativo.
Non e' il nuovo costruire milioni di condomini di cemento armato da trenta piani, ogni appartamento con una sua verandina chiusa - tanto l'aria e' irrespirabile, non ha senso avere un balcone e un suo bocchettone dell'aria condizionata.
Non e' il nuovo comperare scarpe e borse e vestiti e gadget giapponesi in centri commerciali a dieci piani, di cui otto sotterranei.
Non e' il nuovo far morire i giardini di smog, i laghetti soffocati da infestanti di cui nessuno si cura piu', finche' ci sono bottiglie di plastica da gettarci dentro e negozietti che vendono paccottiglia da portarsi a casa per ricordo.
Non e' il nuovo non vivere un momento se non dentro una macchina fotografica, attraverso la quale esprimere emozioni e vincere timidezze dentro cui altrimenti si soffoca. 
Non e' il nuovo la sporcizia, la puzza e la compassione di animali di ogni tipo - non importa se protetti o rari o destinati a sparire - chiusi vivi in gabbie nei mercati o fotografati come poveri cadaveri interi sui menu dei ristoranti a buon mercato.
Non e' il nuovo proteggere la propria assenza di curiosita' dietro una lingua complessa ed elementare, che disegna il mondo, ma non sa incontrarlo.
Non e' il nuovo andare avanti a testa bassa, consumando la realta' come rapaci affamati, incuranti di tutto e di tutti se non di un adesso gia' svanito di fronte a una nuova tentazione che viene da un occidente stereotipato.
Non e' il nuovo copiare gli errori gia' commessi da altri, perche' e' ottuso pensare che se le curve dello sviluppo hanno un andamento comune in tutti i Paesi, la Cina fara' eccezione. Lo puo' pensare solo chi ignora o decide di dimenticare la storia, la rivoluzione industriale cosi' come il destino di generazioni di imperatori a cui costruire muraglie o armare eserciti di terracotta non ha valso l'immortalita'. Sotto un ritratto di Mao che non riesce nemmeno piu' a scuotere il capo tondo e che assomiglia sempre piu' a Siddartha nella sua distanza serenissima dalle sofferenze del mondo. 
Il colesterolo, le automobili e gli immobialiaristi uccideranno a mio parere la Cina e i cinesi, ed e' un peccato perche' chi e' vittima di un black out della storia puo' almeno beneficiare dell'esperienza degli altri, non commettere gli stessi errori, usare entusiasmo, voglia di fare e gioventu' per innovare sul serio, oppure per sperimentare nuovi modi di sbagliare. 
La civilta' del falso, invece, procede imperterrita verso un destino gia' scritto, con il solo problema, a quanto pare per loro irrilevante, che non penso che il Pianeta possa avere la pazienza di offrire un'ubriacatura di sviluppo vecchio stile a un altro miliardo e quattro di persone. La misura e' gia' colma, i piatti ormai vuoti e le bottiglie sgocciolate, ben prima che oltre la meta' di lor si sia anche lontanamente avvicinata al tavolo del buffet. 
Forse li salvera' - e ci salvera' - una pianta di zucchine rampicanti che un vecchietto e' riuscito a far crescere fuori dalla finestra di un appartamento al dodicesimo pianto, affacciato su un cavalcavia del centro citta' di Pechino, in ricordo e in auspicio di una Cina diversa, di cortili e orti e giardini, che potrebbe essere davvero moderna. 
Se solo qualcuno accettasse l'idea che puo' essere futuro anche qualcosa che costa cosi' poco. 




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