giovedì 4 agosto 2011

Requiem per G.

Ero gia' pronta a parlarvi di un sito molto interessante che ho trovato oggi e che ho messo anche sul pepe (tanto non e' pubblicita', perche' si tratta di un progetto non profit) che consente di scambiare cose invece di comprarle e di mettere a disposizione quello che sai o che sai fare degli altri. 
Vi avrei detto che ho messo un annuncio, in cui provo a offrire le mie artigianali competenze giardiniere in cambio di semi, talee o altri frutti della creativita' umana...ovviamente da settembre, al ritorno dalla Cina. Avrei confessato cho non ho molto altro da offrire, salvo attingere a certi orrori fuori lista nozze, ma sono curiosa di capire se c'e' possibilita' di condividere beni intangibili, prima di passare alle ciotole in silver.
Solo che poi sono tornata dall'ufficio, ho chiamato come sempre mia madre e aveva la voce rotta. Mi ha detto che era successa una cosa terribile, ed era vero.
"Ho finito di soffrire, vi ho voluto molto bene". Cosi' se n'e' andato G., cinque anni piu' di me. 
Una vita perfetta di un ragazzo perfetto. Moglie elegante e ricca, un lavoro da avvocato in giro per il mondo, una nonna e una mamma che lo adoravano.
La signora Elide, novantadue anni barelliera a Lourdes, schiena dritta e carattere di ferro, moglie del medico condotto che ha curato la varicella a generazioni di mie compaesani, seppellira' fra pochi giorni il suo nipote bellissimo e raffinato. Quello con la passione per le porcellane e la decorazione della tavola di Natale. Quello che aveva a lungo vissuto con lei, accompagnato da un cane husky algido e  con gli occhi gelidi, un alieno sperso nelle pianure emiliane con troppo pelo e troppo gelo nello sguardo. 
La migliore amica della mia mamma mettera' sotto terra un figlio, continuera' a portare la bicicletta con il cestino a mano per il centro del paese, un po' piu' curva, appoggiata piu' pesante al manubrio. Sulle spalle avra' il fardello immeritato di non aver capito, di non avere nemmeno intuito. Di essere stata al mare mentre suo figlio decideva di smettere di recitare su quel grande palco che era la sua vita. 
L'aveva sentito alle cinque del pomeriggio, G. 
Era in studio, al primo piano. Aveva la voce serena e felice, stava per partire per le vacanze. La sera dopo sarebbe andato a salutare i suoi, a cena da loro. Ciao. Ciao, a domani. Invece due ore dopo e' salito al quarto piano del palazzo dove lavorava e si e' buttato di sotto.
Lo raccolsero che ancora respirava, canta Guccini. E questo, della locomotiva, e' il pezzo che mi ha sempre rotto la voce in gola mentre cantavo.
Aveva le gambe e il bacino rotto, ma era ancora vivo. 
L'unica cosa che non gli e' riuscita perfetta nella vita, ammazzarsi. Si e' dovuto accontentare di una fine meno netta, in un letto di ospedale. 
A me resta il ricordo di Cicciobello nero, che mi regalo' lui che eravamo bambini. Ho un ricordo pulito e chiaro di quel pomeriggio, una sua festa di compleanno, credo. Ero molto piccola, perche' era il periodo della depressione di mia mamma e lei non credeva di farcela, ad accompagnarmi a casa di quella che era innanzitutto la sua migliore amica.
Ricordo una telefonata su questo. 
Alla fine eravamo andate e sul finire della giornata, nel cortile in cui anni dopo avrebbe vissuto il cane husky circondato dalle rose grasse della signora Elide, io continuavo a stringere quel Cicciobello esotico. G. si era avvicinato a sua madre, le aveva detto qualcosa all'orecchio. Lei aveva annuito. A quel punto mi avevano detto che voleva regalarmi il bambolotto. 
Forse aveva intuito che ero una bambina sola in mezzo a una bufera e aveva pensato che quel morbido pezzo di plastica mi avrebbe ancorata e impedito di volare via, ma nemmeno mia madre, nel suo formalismo, aveva avuto il coraggio di togliermelo dalle mani. Come se quel gesto di compassione nei miei confronti non avesse dato nemmeno a lei la possibilita' di trincerarsi dietro la ritrosia della buona educazione.
Credo che fosse una persona nobile d'animo, cosi' mi si e' attaccato addosso da allora per un dono inadatto alla sensibilita' di un bambino maschio di sette o otto anni.
La prima cosa che viene in mente e' che si sia ammazzato per sfuggire alla perfezione della sua esistenza. Per non essere piu' il primo della classe compagno buono, generoso e simpatico che era stato per il mio scapestrato cugino. 
Che si sia ucciso schiacciato da quella gabbia di idealita' rarefatta che si era costruito intorno. Forse quella morte slabbrata e' stata una beffa del suo destino, o forse l'unica liberta' che si e' concesso. 
In realta' sapere perche' l'ha fatto non serve a nulla. E' una domanda che puo' solo straziare, come straziera', ineluttabilmente e ingiustamente,i suoi familiari.
A me resta solo un grande vuoto in fondo allo stomaco, il ricordo di un Cicciobello e il senso, disperato, di quanto grande possa essere il dolore quando nemmeno riesce a diventare parola, grido, rabbia, pazzia. Quando il muro dell'ipocrisia e' cosi' alto che non si puo' rompere, nemmeno per salvarsi la vita.
Si puo' solo saltare, con l'infinita, ingenua e magnanima pieta' di negare fino all'ultimo agli altri, alla propria madre, il proprio star male.
L'ultimo regalo di G. a sua mamma sono state due ore di serenita' prima della notizia. Forse vorrebbe che lei lo immaginasse in viaggio verso una meta esotica, una meritata vacanza per il figlio adorato, ancora intatto e sorridente.
Io provo a vederlo cosi', stasera. Soffocando la ribellione istintiva per un gesto che non lascia ritorno, la rabbia verso chi non ha voluto o potuto provarci ancora.
Spero che mia mamma riesca a dormire, questa notte, che non pensi quello che mi ha detto per telefono, affacciata su un baratro di orrore, che i figli non si conoscono mai fino in fondo.
Tu, mamma, la tua la conosci, stai tranquilla, il suo dolore e' abbastanza superficiale da diventare facilmente un pianto. Un pianto che si puo' consolare, come quello che spero si concedera' presto la tua amica e la sua famiglia spezzata. 
 

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