martedì 2 agosto 2011

Qualunquismi sociologici (in partenza per la PRC)

Lunedì prossimo, quindi, si parte per la Cina.
Non so cosa aspettarmi, ho un umore a mezza via fra contenta e perplessa.
Sono contenta perché viaggiare è sempre una delle ragioni più sensate per stare al mondo e, soprattutto, una delle poche motivazioni valide per lavorare e percepire uno stipendio (al di là della mera sussistenza, ovviamente, che comunque si può ottenere con molta ma molta meno dedizione e spreco di energie).
Sono curiosa di vedere questo Paese che è Asia, ma un'Asia molto meno gioiosa e profonda e risolta di quella che conosco. Tendo a fidarmi di Terzani e mi ha sempre impressionata la sua descrizione del materialismo del popolo Han, così radicalmente in contrasto con la spiritualità laboriosa e la tendenza al trascendente dei miei amici Birmani e con la rassegnazione alla fatica e al dolore che diventa entusiasmo per la vita di quelli Indiani.
Mi dicono che gli Han sono terribilmente maleducati per gli standard occidentali. Oppure, semplicemente, quella che è la cortesia occidentale non interessa loro. Che senso ha la gentilezza formale se l'individuo non ha tanto peso nella società? Cosa importa lo straniero, l'ospite, se ciò che conta è la famiglia, il nucleo?
Penso che questo aspetto mi colpirà e mi farà male.
Una delle cose più preziose dell'Asia che ho conosciuto è l'enorme senso di protezione. Essere in mezzo a culture così differenti e sentire che sei al sicuro, perchè tu, nella tua inutilità e piccolezza, sei l'ospite di un Thailandese, di un Birmano, di un Indiano e la tua sicurezza, il tuo benessere, la tua felicità contano.
Mi darà meno fastidio il rapporto buffo con il tempo. Ho letto di diversi viaggiatori turbati dall'assenza del concetto di conservazione del patrimonio culturale e dell'eredità del passato. I Cinesi sembra che non accettino le rovine, che a noi italiani sono così care. Pare che ricostruiscano. Dov'è impossibile, spianano e rifanno daccapo. I guerrieri di terracotta stessi non sono mica veri, sono rifatti negli anni settanta. Impossibile capire, a quanto pare, l'età di un monumento.
Questo aspetto è sicuramente strano, ma l'ho già conosciuto. Per un Asiatico la domanda: "A che epoca risale questo oggetto?" non ha tanto senso. Probabilmente l'origine risale alla notte dei tempi, ma poi è stato aggiustato, abbellito, ricostruito, rimontato...niente UNESCO, niente "heritage", siamo asiatici.
L'aspetto che mi inquieta e mi inquieterà sicuramente della Cina è la corsa verso un futuro magnifico e progressivo, a prescindere dagli impatti sull'ambiente e sulle generazioni future. Spero si tratti di uno stereotipo, di una deformazione dell'informazione occidentale. Spero che in realtà ci sia attenzione, che lo sviluppo sia più sostenibile di quanto si legge.
Sarà il particolare momento che vivo, questa diffidenza nei confronti della crescita a tutti i costi, sarà la frugalità della crisi dell'occidente, sarà che il ripensamento degli stili di consumi mi sembra la grande rivoluzione, insieme all'Internet, dell'epoca che vivo.
Curiosità e diffidenza sono i sentimenti più forti che provo per un Paese che sembra essere in un'altra fase storica rispetto a quella europea e alla mia, che crede nel boom della produzione e dei beni perché ci deve credere, perché ne va dello sfamare un mondo di persone.
Mi turba un Paese che non può chiedersi come lo sta sfamando.
Le megacities non fanno per me e sto per vederne due, Pechino e Shangai.
Credo nei paesoni globali, in questo momento, luoghi di snodo da cui si può partire per il resto del mondo, ma che sono anche capaci di creare comunità.
Per tutte queste ragioni il viaggio in Cina si preannuncia interessante, aggettivo che suggerisce mio marito per caratterizzare l'esperienza, molto faticoso, foriero di pensieri macrosociali e molto azzeccato, per contrasto, all'anno appena trascorso.
Intanto lavoro poco e preparo casa per la partenza.
Domenica ho insegnato alla signora del quarto piano come innaffiare le piante del cortile.
Curioso, fare un tutorial di innaffiatura a una vecchietta. Come ha fatto a vivere quasi ottant'anni senza avere mai incrociato nemmeno per caso l'informazione che si bagnano le piante la sera? Oppure che è meglio non bagnare le foglie, ma solo la terra? Oggi, comunque, concimerò un po' tutto e preparerò il verde condiviso alle tre settimane senza di me.
Nei prossimi giorni mi occuperò anche della terra del mio giardino, che per l'innaffiatura ormai è a posto, ma richiede un po' di nutrimento prima di partire.
Taglierò i fiori, come ho letto da qualche parte, per assicurarmi di trovarne di nuovi al ritorno. L'anno scorso in soli sei giorni di assenza una grandinata epocale bucò tutte le piante a foglia, ma contro questa evenienza non posso fare nulla, solo sperare di non saperlo per non rovinarmi l'umore mentre sono dall'altra parte del mondo.
Idem per i gatti. Sarà un test di libertà estrema, per cui posso solo incrociare le dita e confidare nelle loro proverbiali sette vite e nel loro amore per la casa e per me.
Non posso chiuderli fra quattro mura per tre settimane, impazzirebbero. Non posso chiedere alla mia vicina di essere me e di cercarli sui tetti quando tardano a tornare, è già molto gentile perchè viene a nutrirli.
Non so come farà la piccola, senza il mio fianco a cui appoggiarsi pesante la mattina, facendo milioni di fusa. Ne' come farà il grande, quando tornerà a vedere se in casa va tutto bene e per l'ennesima volta non troverà nessuno.
Soprattutto non so come farò io, sapendoli in quello che percepisco come un costante pericolo.
E' il pericolo della libertà, il maggior regalo che ho fatto loro da quando sto nella casa con il giardino e li ho tolti dalla vita di gatti di appartamento.
La maggiore preoccupazione per me, che capisco così quanto costa l'amore.

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