domenica 24 luglio 2011

Di zingari e fili da bucato


Due immagini questo fine settimana.
Abbiamo tirato il filo del bucato attraverso il giardino. Mi rendo conto che non sembra una grande notizia, ma e' un'altra di quelle viste legate all'infanzia che ritornano con il valore delle cose scelte e non trovate gia' fatte.
Il filo correva su tutto il fianco della casa che costeggiava la siepe. Piu' in la', l'autostrada. Era sorretto da due pali di ferro un po' arrugginito, bisognava stare attenti a non stenderci vicino le cose, ai pali, perche' la ruggine non va piu' via.
Vicino c'era il lavatoio di pietra. Quello in giardino mi sa che non l'avro' mai.
Da quando mi ricordo io abbiamo sempre avuto la lavatrice, non ho mai visto mia mamma, ma nemmeno la Dina, la Lisetta, l'Arcisa o mia nonna lavare a mano li' dentro.
Pero' si prendeva l'acqua che usciva fredda dal pozzo. Nella vasca gigantesca si teneva in fresco il cocomero. C'era il buco, in fondo, per far scolare l'acqua e se ci mettevi le barchette navigavano via, fino a sotto la magnolia.
Per me il bucato e' il filo, perche' il giardino, dalle mie parti, non e' mai stato un posto dove prendere il te' o fare le cene. Anche. Ma soprattutto e' sempre stato il pezzo piu' bello della casa, quello in cui si facevano le cose libere. Come stendere al vento, giocare per terra, tenere i gatti, innaffiare le piante.
L'estate per una bambina e' la liberta'. Di sporcarsi, di bagnarsi, di inventare i giochi. Di correre in mezzo ai fili del bucato mentre la' in fondo, mica tanto lontano, dietro la siepe, ci sono le macchine ferme sull'autostrada del sole, perche' si va in vacanza tutti lo stesso giorno e li', poco dopo Modena sud, c'e' il tappo di quelli che escono da Bologna verso la riviera, verso Riccione, verso il mare.
Delle volte si fermavano delle persone, dietro la siepe. Avevano bucato una ruota, oppure fuso il motore. Oppure c'era la coda, avevano i bimbi in macchina e l'autogrill era molto lontano. Le persone intuivano la casa dietro la siepe, forse scorgevano il lavatoio e una bambina che giocava per terra alle barchette. I loro figli avevano sete, si avvicinavano alla rete, dietro i rami, e venivano a chiedere un po' d'acqua. Mia madre allora usciva diffidente da casa, passava le bottiglie dall'altra parte. Se qualcuno aveva avuto un incidente, o era in panne, arrivava Ciro a dare una mano, a passare attrezzi. Si chiamava qualcuno al telefono.
Io mi infilavo sempre in mezzo alla siepe e cercavo i bambini.
Ero una persona abbastanza sola per la mia eta', unica piccola in un mondo di adulti. Avevo sempre qualcosa da mostrare a quello che speravo fosse un nuovo amico che si sarebbe fermato per un po'. Un giocattolo, piu' spesso un gattino nato da poco. Il pegno e la tentazione per chi avesse attraversato il fosso, la rete, la siepe e avesse lasciato l'automobile e i progetti di vacanza per restare con me a giocare.
Guardavo negli occhi quei bambini sconosciuti e fra un buco della rete e una foglia una mano, cosi' simile alla mia, si infilava per accarezzare l'animaletto o per toccare il giocattolo.
Io so che volevano restare, tutti. Ma i loro genitori avevano fretta di rimettersi in marcia, di ritornare alla coda e al sogno di villeggiature sempre uguali.
Gli adulti scappano sempre dal posto in cui stanno, quello l'ho imparato sulla mia pelle. Solo i bambini hanno il coraggio di restare a vedere i fili del bucato che dondolano.
Una volta, non so nemmeno se e' vero o se l'ho sognato, si sono affacciati alla siepe gli zingari. Anche loro avevano bambini, un po' piu' sporchi di me ma nemmeno tanto. Mia madre e' andata a prendere l'acqua, vestiti vecchi e un po' di cibo, perche' erano molto poveri.
Io sono corsa in camera mia, a prendere un giocattolo da regalare, mentre una manina rapace si protendeva al di qua della rete.
Quando sono scesa mia mamma aveva il palmo della sua, di mano, al di la' della siepe, mentre la madre del bambino le leggeva il futuro nelle linee. Lei sembrava spaventata e curiosa. Mi sembrava cosi' adulta, aveva la mia eta' ora. Non so cosa le abbia detto, il cielo e' cambiato all'improvviso ed e' venuta una luce piu' livida.
Penso che si sia limitata ad augurare tutto il bene del mondo a una persona che la stava assistendo, ma non sapro' mai se invece non abbia predetto a mia madre le molte croci che si e' portata addosso tutta la vita, le malattie e l'incertezza di chi ogni giorno teme che non diventera' vecchio.
La seconda immagine, per analogia, e' la mia vicina malata. L'avevo vista meglio, prima dell'ultima chemio. Meno gonfia, piu' rilassata, mi aveva raccontato di un bellissimo matrimonio in campagna a cui era andata. Invece dopo lunedi' e' tornata cupa. I capelli, che facevano una peluria sulla testa calva, sono di nuovo caduti. Ha le occhiaie profonde di chi non riesce a dormire dal dolore.
Deve cambiare i farmaci, perche' gli analgesici a base d'oppio che prende danno assuefazione, deve disintossicarsi prima di provarne di nuovi.
Sta patendo il dopo chemio senza nessun aiuto dalla chimica e glielo si legge in faccia che non e' una cosa che si possa tollerare.
Le ho fatto la tisana di melissa, come se potesse servire a qualcosa. L'ha bevuta tutta, un intero litro, per provare a dormire e a riposare. Le ho chiesto se le era servita. Come il tavor, mi ha risposto, quasi niente ma meglio di niente.
Voglio pensare che ci sia un po' di efficacia nell'erba raccolta nel giardino e offerta come tutto quello che si ha a qualcuno a cui non si puo' dare nulla che serva davvero. Spero che il gesto di raccogliere le foglie, far bollire l'acqua, filtrare il liquido verde con un imbuto nella bottiglia di vetro porti dentro un po' della mia energia e della mia salute, che sia quella la magia che la fara' riposare meglio la notte.
Come una mano interpretata nel cortile di casa, vicino all'autostrada.
Qualunque cosa ci abbia visto, spero che la zingara abbia detto a mia madre che li' dentro leggeva solo un cielo limpido.

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