lunedì 4 agosto 2014

Di portinaie, fioristi e quotidianita'

Ogni mattina vado a prendere il motorino per andare al lavoro nel garage dietro casa. I vetri di questo edificio industriale li vedo anche dal giardino, un immenso pallone da tennis che luccica con il sole del tramonto, d'estate.
Dal piano sopraelevato, dove dorme lo scooter, vedo le cime dei miei alberi, ormai così grandi che non li riconoscereste più. Gatto Misa viene a salutarmi dai vetri, mi chiama più volte perché dopo quasi dieci anni ancora non si capacita che io esca la mattina per andare a lavorare. In realtà il suo sconcerto dura poco, perché vede presto qualche suo amico nemico gatto di tetti e va a controllarlo in qualche altro angolo di quell'immenso paradiso per felini che restano i dintorni di casa nostra.
Mentre mi metto il casco poggio la borsa tolgo il cavalletto ho mille pensieri per la testa. Ci sara' troppo presto Leda da andare a prendere all'asilo, mentre in ufficio ancora troppe cose si staranno agitando, i ragazzi saranno indipendenti e avranno bisogno di tutto, chissà se domani ci sara' ancora bisogno del nostro inutile, ridicolmente rigoroso, bellissimo produrre. Ci saranno la spesa e il parchetto e questo agitarsi che mi lascerà stremata a sera, ma avrà dato alla bambina e alle piante qualche millimetro di altezza in più, a sei persone un pezzettino di stipendio, a me e al coniuge il senso di un altro mattone in questa vita che abbiamo scelto nella sua fatica e nel suo splendore.
Mentre scendo al rampa guardo la portinaia dello stabile accanto a cui sorge il garage.
Ha i capelli molto corti delle donne risolute, biondi paglia di una tintura fatta in casa per non privarsi di quell'unico vezzo. Porta spesso camicione lunghe, di lino, stirate e bianche, comperate dai cinesi e tenute addosso con un'eleganza che non credo avrò mai, anche se mi sforzo come lei di comperare vestiti a poco prezzo solo per dimostrare che non ho bisogno di tagli da stilista per essere presentabile. Ha una faccia larga e aperta, una faccia da dura, ma con un bel modo di salutare e dare del tu, un po' ruvido, da una che non da' confidenza come niente, ma capace di rispetto per chi sembra fare del proprio meglio per fare la sua vita, giorno dopo giorno.
Spesso la trovo con le mani e il tronco tuffati nei bidoni marroni dell'umido, e chissà come fa a uscirne sempre pulita.
Ne risale con le mani piene di fiori.
Mazzi interi, coni gambi ancor tutti avvolti stretti stretti in cerchi concentrici, povere vite recise che muoiono piano abbracciandosi forte. A volte sofferenti, i bordi dei petali già come carta crespa marrone, a volte freschi come appena tolti dall'acqua.
Li prende senza sorridere, come una che fa il suo dovere e li porta nel suo gabbiotto da portiera, dove li dispone in vasi che sembrano usciti da un salotto di Fogazzaro.
Nei secchi marroni trova anche ibisco rossi e gialli, piante senza fiori che fatico a riconoscere, roselline in quantità industriali e kalanchoe annegate d'acqua. Anche quelle raccoglie, con l'aria scocciata di chi accoglie un altro pellegrino quando ha già chiuso la porta dell'albergo da un po', ma e' troppo gentile per lasciarlo sulla strada.
Un giorno mi sono fermata e abbiamo parlato un secondo, con lo stesso sdegno, del fiorista in franchising all'angolo, gestito da gente senza cuore che tratta i fiori come se fossero yogurt, che poi il paragone non e' giusto, perché anche quelli sono vivi, buttandoli come se avessero scritto sopra una data di scadenza.
Persone che gettano mazzi interi incuranti della bellezza di una rosa che sfiorisce, di un tulipano che perde l'energia che tiene chiusi i suoi petali, solo perché non sono riusciti a venderli e sono nauseati e non vogliono portarli a casa a finire la loro vita mozzata.
Gente che la mattina innaffia a caso come se ogni pianta volesse la stessa quantità d'acqua, provocando funghi e marciumi radicali così difficili da estirpare, mentre delicati fiori di vetro annaspano in attesa delle gocce loro concesse.
Fioristi senza amore che non spostano una fucsia dall'ora della canicola il pieno sole, per poi indignarsi quando lei fa cadere le sue delicate campanelle.
E' stato un secondo, uno scuotere la testa fugace, una condivisione rapida delle storture del mondo. Poi io me ne sono andata, lei ha continuato il suo lavoro.
Ogni giorno dopo quello ci salutiamo con più piacere.
A me torna in mente pepetrolio e questa storia da scrivere.
Perché non ho tempo per prendere in mano la tavoletta e buttare giu' parole non funzionali, perché temo l'invasione barbarica di mamme blogger e di tuttologi da pagine digitali.
Pero' mi spiace perdere lo sguardo sulle piccole bellezze del quotidiano che mi aveva regalato questo esercizio di ormai due anni fa.
E quella Ledaspina che scriveva qui sopra per cambiare il suo modo di vivere esiste ancora, anche se e' stato un cambiamento più travolgente di quello che osasse immaginare.
Allora oggi, che sono in vacanza, mi riprometto di raccontarvi di nuovo alcune piccole storie di portinaie e fiorai cattivi, di gatti e di piante salvate.
Perdonatemi se ogni tanto mi scapperà qualche racconto su Leda. Lo so che e' una bambina come tante altre e che al mondo siamo sei miliardi, ma lei e' la più speciale del mondo e l'unica nel suo genere, solo perché e' la mia.
Ci scapperà anche qualche racconto di lavoro, di scelte che tornano e ritornano e persone che restano parte della mia vita, di altre che se ne vanno, di incontri fra generazioni.
Non dimenticherò che a voi interessano le ortensie, gli afidi e le avventure del giardino, perché anche a me continua a importare di come difendere tutto dai bruchi senza uccidere le farfalle.
Portate pazienza e vediamo se in qualche modo riuscirò a tornare da voi, e da me.