lunedì 31 ottobre 2011

Traslochi e olive

Benedetti siano quattro giorni di fine settimana, svariati venerdi' fittizi per stare col marito, traslocare nella casetta nuova e, domani, raccogliere le olive.
Il giardino e' commovente nella sua autonomia autunnale, con l'umidita' della notte che lo innaffia, le rose bianche che assumono incredibili sfumature di rosa acceso per il freddo della notte. Siamo agli ultimi boccioli, fra un po' si riposeranno, dopo sei mesi di fioriture ininterrotte che non sapro' mai ricompensare, per quanto compost metta sul terreno sfinito. 
I glicini perdono le foglie, le inutili piante di more (ormai e' ufficiale, nessuna mora e nessun ribes, ormai non c'e' piu' spazio per le speranze) diventano rosse e intense, i pomodori continuano a fiorire come se non ci fosse mai un domani. Il mio unico limone si fa giallo, l'albero cresce, cosi' come le ortensie: i fiori, che ho lasciato attaccati dopo la fioritura di giugno e luglio, si sono fatti da rosa a verdi, ora sono rossi come se volessero salutare prima di andare a nanna.
Il giardinetto della citta' bassotto e' tutto all'ombra, le figlie della mia pianta lo popoleranno appena arrivera' la stagione delle talee.
Le olive sono tante, mezze verdi e mezze nere. Due alberelli su tre, compreso quello che un giorno fu un bonsai che ho lasciato crescere in un vaso da pianta normale, sono carichi di frutti grossi e sani, che stacchero' dolcemente per il primo raccolto della mia vita. L'anno scorso persi tutto con una grandinata d'agosto. 
Oggi ho studiato tutti i siti del mondo e ho deciso di farle in salamoia. Seguo la ricetta di un forum di cuoche, in cui sono entrata in punta di piedi leggendo in silenzio,  per non essere cacciata per incompetenza manifesta.
Ecco quello che ho capito:  mercoledi' porto le olive nella citta' bassotto e le metto a bagno, dove devono stare a perdere l'amaro fino al primo di dicembre, cambiando l'acqua tutti i giorni (o almeno dal lunedi' al venerdi', data la giardiniera pendolare). 
Poi tre mesi di acqua e sale: prima 100 grammi per litro in un barattolo chiuso al buio dell'armadio,  poi 120 grammi per litro, poi 60 grammi e si possono mangiare.
Vi tengo aggiornati sugli esiti, incrociamo le dita e speriamo di leccarcele a marzo.

sabato 22 ottobre 2011

News dalla citta' bassotto

Rose in casa

Piante da bagno

La citta' bassotto lascia poco tempo per scrivere.
Si torna al residence nemmeno troppo tardi, prima di quando si torna a casa nella citta' - cane - normale. Si e' stanchi e soli e si ha voglia solo di telefonare un po' e di spegnersi davanti a un televisore, su un letto che e' quasi tutta la stanza.
Non si ha nemmeno voglia di aprire pepetrolio. Per scrivere cosa, poi?
Nella stanza ci sono le piante di plastica.
Ho trovato un appartamentino.
La signora che lo affitta e' una prof. del liceo, di quelle con cui nella vita sono sempre andata d'accordo.
E' una casa vecchiotta e trascurata, ma c'e' spazio e luce. Soprattutto c'e' un terrazzino, un quadrato tutto grigio e triste con gli spuntoni contro i piccioni in cima ai muri. Ma e' un giardinetto in potenza, un piccolo angolo dove trovare pace di sera. Un posto dove la gatta piccola puo' venire, se si abituera'.
Il prossimo week end, che e' lungo, mi ci spostero' dentro. Provero' a starci meglio di come sia stata in queste cinque settimane.
Provero' a ricominciare a scrivere e pensare, vedro' se qualcosa cresce anche nella citta' bassotto, oppure se il razzismo delle persone e la loro incredibile superbia ammaccata blocca anche i fiori e i pomodori.
Questo vuol dire la citta' bassotto.
Una mia amica mi ha raccontato che i bassotti non sanno di avere le zampe corte, loro credono di essere cani grandi. Sono orgogliosi e arroganti, si credono delle stesse dimensioni di un labrador, di un pastore tedesco, e come tali si comportano. Con dignita' da vincenti naturali. Spesso riescono anche a convincere gli altri di essere cosi'. Meraviglie della profezia che si autoadempie.
Solo che questo rende i bassotti simpatici, gli abitanti della citta' bassotto no.
Si sentono cittadini di una metropoli, hanno addosso il razzismo di provinciali spaventati.
Valutano con sufficienza chiunque non apprezzi il culatello e il loro polveroso teatro, chi non si incanti dell'opulenza fittizia e decadente del loro benessere.
Fanno paura perche' si sentono la parte migliore d'Italia, ma hanno i sogni corti come zampe. Zampe da bassotto, appunto.
Grazie MC per gli orti che mi racconti. Provero' a farne uno anche in mezzo alla nebbia color vuitton in cui vivo cinque giorni la settimana.
Per il momento torno a casa al venerdi', raccolgo le rose e riempio di fiori bianchi e puliti la casa. Metto a svernare in bagno le piante delicate per il freddo che arriva. Accarezzo molto i gatti e il marito e vado avanti con il motto dell'amica di Nemo: zitta, nuota e sorridi, qualcosa di buono verra' anche da questa avventura.
Questa e' un'altra storia, ve la racconto appena ho un tavolo e una pianta.

venerdì 7 ottobre 2011

Dedico una mattina a Steve Jobs

Peccato che non sia una "early morning person". Stamattina mi sono alzata prestissimo per accompagnare A. in stazione. E' venuto a trovarmi nella città bassotto (giuro che vi spiego presto cosa vuol dire) e stamattina tornava a Casa. Casa con la maiuscola, uniformemente quella nostra e dei gatti e la città che non ho mai sentito bella e mia e perfetta come ora che sono qui.
Pian piano è venuto giorno sulle edicole illuminate e sui bar già aperti. Ora soffia un vento che dicono porterà un freddo che per fortuna non vuole venire. Voglio pensare che resti estate per me, per addolcire queste prime settimane lontane.
Ho ascoltato il discorso di Steve Jobs, il celebre Stay hungry, Stay foolish di Stanford, ho pianto un pochino per quest'uomo che non è mai stato il mio guru ma che dice una cosa che io sento nello stomaco da sempre: la vicinanza costante della morte, l'impossibilità di rimuoverne il pensiero e la conseguente necessità di essere vivi ogni giorno in modo speciale, di stare accesi, di amare molto e di fare solo ed esclusivamente quello che fa sentire in pace.
Il profondo egoismo che viene dal non essere capaci di pensarsi sempre alla prima settimana di una vacanza di due è forse la caratteristica più costante del mio carattere mutevole.
Da questa vengono i pomodori, il silenzio interiore che mi danno, l'effimera idea di eternità che è la stessa di questa mattina in cui il sole sale piano.
In cui guardo la foto sulla scrivania, vedo mio marito e me in un viaggio di nozze lontano, più giovani ma non più leggeri, e penso che non vale la pena nient'altro che accompagnarci reciprocamente in stazione essendo capaci di restare molto vicini.

sabato 1 ottobre 2011

16 settembre 2011

Questa linea del non saluto mi sembra l'unica possibile, perche' come si fa a salutarti? 
L'analisi della situazione e' semplice. 
Nel 2003 io ero professionalmente niente, l'unico bagaglio solido delle elementari ben fatte a cui all'epoca non davo abbastanza peso. 
Ero una ragazzina, non scema probabilmente, ma decentemente noiosa e ideologica e piena di convinzioni fin troppo salde. Emotiva e chioccia e con lo sdegno facile, ma cosi' lo sono ancora.
Oggi sono una con una professionalita'. Sara' da valutare se capace di usarla da sola. 
Sono anche una donna, forse, con la stessa ingenuita', meno certezze, un'idea abbastanza chiara di quelli che sono i miei pregi - tenere insieme la gente, essenzialmente, intorno a un progetto - una ancora piu' chiara di quelli che sono i miei difetti. Questo atavico bisogno di essere amata e apprezzata da tutti che non riesce a diventare altruismo. Quest'ansia di controllo che impedisce agli altri di fare la loro vita, di scegliere e di sbagliare. Che proibisce a me di rilassarmi.
In mezzo fra la me di qualche anno fa e quella di oggi ci sei tu. 
Mi hai insegnato a fare il mio lavoro senza farne mai un mestiere. Lezione pericolosissima, che mi e ci condanna a sicura insoddisfazione, perche' non saremo mai capaci di dire: "il mio confine e' qui" e non riusciremo mai a smettere di arrabbiarci per ogni cosa che non va, per ogni sbaglio nostro o altrui, per ogni debolezza o fragilita' di quelle che in fondo sono solo aziende, transitorie e imperfette organizzazioni umane. 
La stessa lezione, pero', ci regala la sicurezza di essere vive, una sensazione profonda di senso che non puo' avere chi pensa che il lavoro sia quella cosa che si fa per avere denaro, o prestigio, o riconoscimento. Mi e ci hai salvate dal dubbio di stare buttando via noi stesse, cosa piu' importante, secondo me, di qualunque tolleranza. 
Poi mi hai fatto vedere come tutto sia possibile, come tutto si possa fare. Mi hai passato un senso di non limite calcolato che e' forse uno dei regali piu' importanti che mi hai fatto. Non sedersi per non annoiarsi, spingere l'asticella oltre il fiume, oltre il filo spinato dell'inedia e della consuetudine, oltre qualunque gregge di gnu con lo sguardo vuoto che ti si puo' parare davanti. Si puo' raggiungerla anche con le infradito ai piedi, anche se non si sa la strada, anche se di la' non si sa bene cosa c'e'. Mi viene da piangere perche' non so come faro' senza questo, a partire da lunedi'.
L'ultimo bastoncino che mi hai tirato, qualche mese fa, io giuro che sarei andata a prenderlo. Ad un certo punto hai deciso che non potevo farlo, che non ero capace, che non sarei riuscita e che forse saremmo affogate tutte nel percorso. 
Ti rendevi conto che io ero gia' ricoperta di fango, che quella decisione non l'avrei mai accettata perche' era contro tutto quello che tu stessa mi avevi insegnato a fare. Penso di essermi comportata come ti aspettavi, in fondo, deludendoti. Mollando e non portando a casa quello che non sarebbe mai stato quello che mi avevi chiesto. 
Io ho fatto una gran fatica, credimi, molta di piu' che continuare a litigare con l'ottusita' di un consulente. Ho deciso che era giusto cosi', perche' io non sono una persona obbediente. Non ho mai fatto niente perche' me l'hai ordinato e perche' sei la mia capa, ho fatto tutto perche' ci credo e perche' sono d'accordo con te. Fare come chiedevi perche' lo chiedevi, non perche' ne fossi convinta, sarebbe stato tradirti. E io questo non l'ho mai fatto e non l'avrei fatto mai.
Voglio pensare che tu sapessi che quella era la fine di un pezzo del percorso, che la coerenza verso me stessa e la lealta' verso di te imponevano, a quel punto, che ci fosse una cesura. Che prima o poi ci voleva un taglio perche' tutte e due potessimo andare avanti. 
Il cambiamento poteva prendere tante forme diverse, ha preso quella migliore per tutti quelli che leggono questa storia dall'esterno, dal mio curriculum, dal tuo come capa e mentore, dalla narrazione aziendale. A qualcuno forse avrebbe fatto piacere vedere qualche altra bella lite, sapere che non ci parliamo piu'. 
Penso che siamo state brave e mature a fidarci abbastanza l'una dell'altra perche' questo non accadesse. Tu soprattutto, io piango troppo per essere credibile.
Volevo solo spiegarti perche' l'altra sera dicevo che non sara' mai piu' com'e' stato  fino adesso e la spiegazione e' semplice, sta tutto nell'epica, nel romanzo di formazione che sono stati questi anni. 
Ho la sensazione di aver avuto il grande privilegio di aiutarti a costruire qualcosa di nuovo, di bello, di pulito all'interno dell'azienda. Qualcosa per cui si possa andare orgogliose a fare una lezione ai nuovi assunti, vederli con lo sguardo illuminato. 
Abbiamo fatto l'impossibile, il nostro inglese approssimativo e una dose massiccia di faccia tosta hanno aperto porte serrate a persone che non so nemmeno se abbiano mai capito quanto importante era quello che stavano facendo, visto nella prospettiva dell'azienda intera, dell'immagine del nostro disgraziato Paese, di un futuro del mondo in cui credo davvero che le imprese dovranno e potranno, spero vorranno e non saranno obbligate, a essere qualcosa in piu' che produttori di soldi.
L'altro giorno la persona con cui lavorero', al telefono, mi ha detto: "Preparati, sara' strano, sara' tutto diverso. Vieni da un'organizzazione immensa, da una portaerei strutturata e chiara nei compiti e nelle attivita', ti troverai su una barchetta, su un aeroplanino, in cui dovrai fare un po' di tutto e arrangiarti." 
Ho sorriso, non ho risposto. Non sa che in realta' le cose importanti le abbiamo sempre fatte da sole, che l'immagine di superpotenza e di efficienza e di grande organizzazione si e' retta in cosi' larga parte su tutte quelle ore passare a discutere e a litigare, a scrivere al volo, a strutturare piani di battaglia su foglietti volanti e a forzare idee che erano solo nella nostra testa finche' non sono diventate fatti, avvenimenti, movimenti di gente e prodotti che si possono prendere in mano e toccare. 
Non sa che l'unita' e' stata tutt'altro che una perfetta falange militare, ma un esperimento costante di fantasia e ingegno e lavoro a testa bassa e coraggio di andare oltre i ruoli che la struttura assegna.
Nessun nuovo lavoro sara' mai tutto questo, niente sara' mai paragonabile a farlo per la prima volta, alla faccia di tutti e addirittura molto spesso senza nemmeno che gli altri se ne accorgano, con te. 
Non dico che non mi divertiro'. Ho ancora una cosa da dimostrarmi e, in parte, da dimostrarti. Che ho imparato abbastanza da riuscire a tirare io adesso l'asticella a qualcuno. Che posso fare delle cose da sola. 
Che sono capace anche di non copiarti, che la mia strada per arrivare alle cose, che a volte non e' uguale alla tua, puo' essere efficace lo stesso.
Lo sai che io sono diversa da te. Non sono capace di accettare l'obbedienza senza il consenso come a volte tu ti illudi di fare (anche se secondo me dentro di te non sei convinta), non riesco e non riusciro' mai a suscitare il conflitto per ottenere un risultato come fai con metodo scientifico, perche' io dentro al conflitto non ci so stare, mi fa paura. Mi manca la genialita' delle intuizioni, il collegamento diretto e immediato, la visione istintiva d'insieme, ma sono brava a tenere duro, a cercare alternative, a fare compromessi in cui prendo piu' di quello che concedo. 
Non ho la tua memoria e la tua precisione implacabile, ma ho l'empatia - o, come la chiamava la valutatrice, la seduttivita' - per tenere testa a un interlocutore, per non spaventarmi mai troppo.
Mi do un paio d'anni per provarci. Un paio d'anni anche per capire se il mio destino nella prossima fase della mia vita e' lavorare dentro un'organizzazione o fare qualcosa di diverso, contribuire in un altro modo a tenere in piedi questo mondo storto. Mi do due anni per vedere com'e' la provincia che ho lasciato a diciott'anni e com'e' stare lontani da tutto quello che ho costruito fino ad oggi, che e' fatto anche di passioni diverse da quella civile, o da altre espressioni di passione civile, da gatti e fiori e pomodori. Forse durera' meno, forse di piu'. Cerchero' di essere lucida, anche se provero' a non farmi scoraggiare dalle prime difficolta' e dalle prime impressioni, che saranno per forza dure.
Tu finisci quello che devi finire, ma non farti ingabbiare se il gioco non ti diverte piu'. 
Stancati troppo solo se continua a valerne la pena.
Mangia, chiedi che ti portino il panino se a loro non viene in mente.
Se ti viene un'idea per ribaltare tutto di nuovo, chiamami. Io lo faro'.

E poi, grazie.