Questa linea del non saluto mi sembra l'unica possibile, perche' come si fa a salutarti?
L'analisi della situazione e' semplice.
Nel 2003 io ero professionalmente niente, l'unico bagaglio solido delle elementari ben fatte a cui all'epoca non davo abbastanza peso.
Ero una ragazzina, non scema probabilmente, ma decentemente noiosa e ideologica e piena di convinzioni fin troppo salde. Emotiva e chioccia e con lo sdegno facile, ma cosi' lo sono ancora.
Oggi sono una con una professionalita'. Sara' da valutare se capace di usarla da sola.
Sono anche una donna, forse, con la stessa ingenuita', meno certezze, un'idea abbastanza chiara di quelli che sono i miei pregi - tenere insieme la gente, essenzialmente, intorno a un progetto - una ancora piu' chiara di quelli che sono i miei difetti. Questo atavico bisogno di essere amata e apprezzata da tutti che non riesce a diventare altruismo. Quest'ansia di controllo che impedisce agli altri di fare la loro vita, di scegliere e di sbagliare. Che proibisce a me di rilassarmi.
In mezzo fra la me di qualche anno fa e quella di oggi ci sei tu.
Mi hai insegnato a fare il mio lavoro senza farne mai un mestiere. Lezione pericolosissima, che mi e ci condanna a sicura insoddisfazione, perche' non saremo mai capaci di dire: "il mio confine e' qui" e non riusciremo mai a smettere di arrabbiarci per ogni cosa che non va, per ogni sbaglio nostro o altrui, per ogni debolezza o fragilita' di quelle che in fondo sono solo aziende, transitorie e imperfette organizzazioni umane.
La stessa lezione, pero', ci regala la sicurezza di essere vive, una sensazione profonda di senso che non puo' avere chi pensa che il lavoro sia quella cosa che si fa per avere denaro, o prestigio, o riconoscimento. Mi e ci hai salvate dal dubbio di stare buttando via noi stesse, cosa piu' importante, secondo me, di qualunque tolleranza.
Poi mi hai fatto vedere come tutto sia possibile, come tutto si possa fare. Mi hai passato un senso di non limite calcolato che e' forse uno dei regali piu' importanti che mi hai fatto. Non sedersi per non annoiarsi, spingere l'asticella oltre il fiume, oltre il filo spinato dell'inedia e della consuetudine, oltre qualunque gregge di gnu con lo sguardo vuoto che ti si puo' parare davanti. Si puo' raggiungerla anche con le infradito ai piedi, anche se non si sa la strada, anche se di la' non si sa bene cosa c'e'. Mi viene da piangere perche' non so come faro' senza questo, a partire da lunedi'.
L'ultimo bastoncino che mi hai tirato, qualche mese fa, io giuro che sarei andata a prenderlo. Ad un certo punto hai deciso che non potevo farlo, che non ero capace, che non sarei riuscita e che forse saremmo affogate tutte nel percorso.
Ti rendevi conto che io ero gia' ricoperta di fango, che quella decisione non l'avrei mai accettata perche' era contro tutto quello che tu stessa mi avevi insegnato a fare. Penso di essermi comportata come ti aspettavi, in fondo, deludendoti. Mollando e non portando a casa quello che non sarebbe mai stato quello che mi avevi chiesto.
Io ho fatto una gran fatica, credimi, molta di piu' che continuare a litigare con l'ottusita' di un consulente. Ho deciso che era giusto cosi', perche' io non sono una persona obbediente. Non ho mai fatto niente perche' me l'hai ordinato e perche' sei la mia capa, ho fatto tutto perche' ci credo e perche' sono d'accordo con te. Fare come chiedevi perche' lo chiedevi, non perche' ne fossi convinta, sarebbe stato tradirti. E io questo non l'ho mai fatto e non l'avrei fatto mai.
Voglio pensare che tu sapessi che quella era la fine di un pezzo del percorso, che la coerenza verso me stessa e la lealta' verso di te imponevano, a quel punto, che ci fosse una cesura. Che prima o poi ci voleva un taglio perche' tutte e due potessimo andare avanti.
Il cambiamento poteva prendere tante forme diverse, ha preso quella migliore per tutti quelli che leggono questa storia dall'esterno, dal mio curriculum, dal tuo come capa e mentore, dalla narrazione aziendale. A qualcuno forse avrebbe fatto piacere vedere qualche altra bella lite, sapere che non ci parliamo piu'.
Penso che siamo state brave e mature a fidarci abbastanza l'una dell'altra perche' questo non accadesse. Tu soprattutto, io piango troppo per essere credibile.
Volevo solo spiegarti perche' l'altra sera dicevo che non sara' mai piu' com'e' stato fino adesso e la spiegazione e' semplice, sta tutto nell'epica, nel romanzo di formazione che sono stati questi anni.
Ho la sensazione di aver avuto il grande privilegio di aiutarti a costruire qualcosa di nuovo, di bello, di pulito all'interno dell'azienda. Qualcosa per cui si possa andare orgogliose a fare una lezione ai nuovi assunti, vederli con lo sguardo illuminato.
Abbiamo fatto l'impossibile, il nostro inglese approssimativo e una dose massiccia di faccia tosta hanno aperto porte serrate a persone che non so nemmeno se abbiano mai capito quanto importante era quello che stavano facendo, visto nella prospettiva dell'azienda intera, dell'immagine del nostro disgraziato Paese, di un futuro del mondo in cui credo davvero che le imprese dovranno e potranno, spero vorranno e non saranno obbligate, a essere qualcosa in piu' che produttori di soldi.
L'altro giorno la persona con cui lavorero', al telefono, mi ha detto: "Preparati, sara' strano, sara' tutto diverso. Vieni da un'organizzazione immensa, da una portaerei strutturata e chiara nei compiti e nelle attivita', ti troverai su una barchetta, su un aeroplanino, in cui dovrai fare un po' di tutto e arrangiarti."
Ho sorriso, non ho risposto. Non sa che in realta' le cose importanti le abbiamo sempre fatte da sole, che l'immagine di superpotenza e di efficienza e di grande organizzazione si e' retta in cosi' larga parte su tutte quelle ore passare a discutere e a litigare, a scrivere al volo, a strutturare piani di battaglia su foglietti volanti e a forzare idee che erano solo nella nostra testa finche' non sono diventate fatti, avvenimenti, movimenti di gente e prodotti che si possono prendere in mano e toccare.
Non sa che l'unita' e' stata tutt'altro che una perfetta falange militare, ma un esperimento costante di fantasia e ingegno e lavoro a testa bassa e coraggio di andare oltre i ruoli che la struttura assegna.
Nessun nuovo lavoro sara' mai tutto questo, niente sara' mai paragonabile a farlo per la prima volta, alla faccia di tutti e addirittura molto spesso senza nemmeno che gli altri se ne accorgano, con te.
Non dico che non mi divertiro'. Ho ancora una cosa da dimostrarmi e, in parte, da dimostrarti. Che ho imparato abbastanza da riuscire a tirare io adesso l'asticella a qualcuno. Che posso fare delle cose da sola.
Che sono capace anche di non copiarti, che la mia strada per arrivare alle cose, che a volte non e' uguale alla tua, puo' essere efficace lo stesso.
Lo sai che io sono diversa da te. Non sono capace di accettare l'obbedienza senza il consenso come a volte tu ti illudi di fare (anche se secondo me dentro di te non sei convinta), non riesco e non riusciro' mai a suscitare il conflitto per ottenere un risultato come fai con metodo scientifico, perche' io dentro al conflitto non ci so stare, mi fa paura. Mi manca la genialita' delle intuizioni, il collegamento diretto e immediato, la visione istintiva d'insieme, ma sono brava a tenere duro, a cercare alternative, a fare compromessi in cui prendo piu' di quello che concedo.
Non ho la tua memoria e la tua precisione implacabile, ma ho l'empatia - o, come la chiamava la valutatrice, la seduttivita' - per tenere testa a un interlocutore, per non spaventarmi mai troppo.
Mi do un paio d'anni per provarci. Un paio d'anni anche per capire se il mio destino nella prossima fase della mia vita e' lavorare dentro un'organizzazione o fare qualcosa di diverso, contribuire in un altro modo a tenere in piedi questo mondo storto. Mi do due anni per vedere com'e' la provincia che ho lasciato a diciott'anni e com'e' stare lontani da tutto quello che ho costruito fino ad oggi, che e' fatto anche di passioni diverse da quella civile, o da altre espressioni di passione civile, da gatti e fiori e pomodori. Forse durera' meno, forse di piu'. Cerchero' di essere lucida, anche se provero' a non farmi scoraggiare dalle prime difficolta' e dalle prime impressioni, che saranno per forza dure.
Tu finisci quello che devi finire, ma non farti ingabbiare se il gioco non ti diverte piu'.
Stancati troppo solo se continua a valerne la pena.
Mangia, chiedi che ti portino il panino se a loro non viene in mente.
Se ti viene un'idea per ribaltare tutto di nuovo, chiamami. Io lo faro'.
E poi, grazie.
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