Tanti giorni che non scrivo, troppe cose nella testa e nelle mani. Lavoro come una pazza continuando a salutare persone (ormai e' vero, fra due giorni me ne vado), con molta ansia per quello che lascio nel pc e nei cassetti, poca per le persone, che mi sembra inverosimile non vedere piu'.
Come sempre quando non riesco a non pensare, ho passato la domenica a giardinare. Con foga, come se dovessi compensare le piante per quei troppi giorni in Cina, per il troppo lavoro, per la malattia della gatta piccola - vi raccontero' anche di quella per bene - che mi hanno impedito di curarle.
Come se dovessi dir loro che anche se da lunedi' saro' lontana tre quarti di settimana sono loro la priorita', sempre e comunque.
Ho potato i rincospermi che crescono sulla spalliera del portico e che avevano approfittato della mia assenza per gettare lunghi rami contorti verso il cielo. Un cielo finto, fatto di legno, che non avrebbe dato piu' luce a loro ma solo un sacco di umidita' a noi. Si sono stupiti e arrabbiati, ho finito bianca di linfa come un imbianchino che ha appena terminato un soffitto, pero' dopo un'ora erano gia' li' pacifici a crescere di nuovo, a loro agio nella forma imposta, con la cocciutaggine e la certezza negli astri che invidio da sempre ai rampicanti.
Sempre a proposito di piante appoggiate, ho finalmente trovato una spalla alla rosa gialla avuta in eredita'. Alla fine ha vinto lei, mi sono stancata di mutilarla e ora sara' libera di crescere attaccata al portico, se ne avra' voglia. Sperando che la cura d potatura radicale, che conto di ripetere anche quest' inverno, le regali una nuova giovinezza.
Infine, ho collocato i regali della mia mamma e di Ciro e gli scarti di mia nonna.
Nell'ordine ho vinto una quercia alta quindici centimetri, figlia di un grande albero del letamaio. Sta in un vasetto piccolo, legata a un bastoncino corto con due lacci troppo grandi per lei, blu di verderame (secondo Ciro il verderame e' una specie di panacea capace di prevenire qualunque problema). L'ho messa sotto ai rami protettivi del glicine, al riparo dal calore innaturale di questo settembre, ma nella posizione giusta per cogliere i raggi del sole quest'inverno quando cadranno le foglie e il glicine sembrera' un cristo in croce.
Il secondo gruppo di nuovi arrivati sono una nidiata di talee di oleandro. Le mie, per quanto curate prima della partenza, hanno vissuto male il distacco e sono morte. Quelle di Ciro, invece, sono giunte ben radicate fino a me, che ne scopriro' il colore il prossimo anno. Ho la quasi certezza che saranno rossi e che non sapro' dove metterli nel mio giardino di colori tenui, ma alla peggio faranno compagnia ai pomodori nell'orto.
Infine, sono l'estrema speranza di due sfortunate orchidee, che hanno avuto il destino infelice di essere regalate a mia nonna, a cui risaputamente muore qualunque vegetale. Mia madre ha guardato le infelici e ha detto: "strano che siano gia' cosi' mal messe, tua nipote ha ancora quelle che le hanno regalato per il matrimonio."
E' bastato questo perche' quel che resta di due fiorite bellezze bianche - poco e niente - atterrassero in giardino, dove stanno in mezz'ombra, all'umido di due vasi di rincospermo. Non stanno bene per niente e io poi non e' che con le orchidee vada molto d'accordo. Ne ho viste di troppo belle in Asia per illudermi che possano essere felici nel clima della mia citta' del nord.
Faro' comunque del mio meglio. Perche' da lunedi' staro' via qualche giorno alla settimana, ma l'anima e il pensiero rimarranno in giardino.
Qualunque cosa dica chi credevo mi conoscesse.
E oggi sostiene che la mia voglia e il mio percorso di decrescita siano solo l'alibi intellettuale di una a cui la vita va bene a dispetto della crisi, che deve inventarsi un'insoddisfazione e un disagio verso il modello di sviluppo in cui e' immersa per celare un senso di colpa.
Lo chieda alla quercia e all'orchidea, quella persona, cosa credo sia importante nella vita. Forse avra' qualche sopresa, forse, in un attimo di distrazione, mi e' davvero successo qualcosa dentro.
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