lunedì 20 febbraio 2012

Bassottiland

Leggete un po' qui.
C'è un articolo sulla città bassotto che vorrei avessero scritto, o avessi letto, qualche mese fa.
Il problema è che probabilmente non ci avrei creduto, perchè avevo troppe illusioni in testa, troppi stereotipi da emiliana che da troppo tempo viveva fuori dalla "sua" Regione e ha mantenuto un'idea di fondo che qui, tutto sommato, c'è il miglior modello del mondo. Capitalismo sociale, socialismo non ottuso, saper stare al mondo e conciliare produttività e piacere.
Questo mi sono raccontata, questo ci siamo raccontati per anni, mentre vagavo e vagavamo fra geli parigini, fra grigi milanesi, fra cieli tersi ma con il vuoto negli occhi americani.
Invece nella città bassotto in questa regione perduta c'è freddo come non sentivo da anni. Un freddo odioso, che ho ritrovato poggiando piedi su pavimenti gelati al mattino, in case medioevali impossibili da riscaldare.
Il rosso della terracotta e dei mattoni si ricopre di una patina di grigio che niente riesce a smussare, in questo clima che ricordavo chiaro e di ombre nette e metafisiche, invece non fa altro che ungere. 
Il vuoto, la solitudine, la stolida stupidità delle borsette di Vuitton piene di nulla la ritrovo qui come non l'ho mai vista in posti più ingenui.
Mi sono ritrovata in un'Emilia non vergine e non godereccia, appoggiata sui suoi salumi e sui suoi vini densi come se lì dentro ci fossero ancora soluzioni. Un'Emilia spaventata dal mondo e da se stessa, chiusa in un passato fatto di simboli in cui in realtà non crede nessuno.
Sto in un posto dove anche il migrante ormai ha perso il sogno di un posto migliore e sta qui ad annegare piano nella diffidenza dei locali. Sto nell'unico luogo al mondo dove ci sono ancora i locali, a dispetto di qualunque multiculturalismo.
Fuori dalla finestra cade una neve già bagnata, una neve già finita prima ancora di toccare terra. E' una buona metafora di un paesone senza speranza, da cui scappare appena si può.
Come diceva mio marito ieri sera, mentre cercavo le forze per alzarmi questa mattina e scendere di nuovo: "Dai, che è quasi la penultima volta che vai".
Dai, che l'unico senso che deve avere questo luogo da qui a giugno è mettere a posto un po' di azienda per persone che non si meritano di essere lasciate troppo nei guai.
Dai, che c'è una grande finestra in casa qui, con un lungo davanzale dove germinano le sementi dei pomodori e dei peperoni e delle petunie nei contenitori vuoti delle uova conservati per oltre un anno proprio in attesa di questo febbraio di semine.
Dai, che intanto l'inquilino egoista e affascinante che sta dentro la mia pancia crescerà anche in questo deserto emotivo e poi.
E poi, come diceva Generale, è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore.

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