sabato 7 maggio 2011

Mia suocera Indira

Sto leggendo l'ennesimo libro sull'India. Ormai sono anni che ne leggo. Romanzi indiani di scrittori di tutte le comunita', saggi sulle culture di quel popolo complicato, che gia' chiamare popolo e' strano perche' la nazionalita' e' un concetto quanto meno astratto per quei miliardi di personaggi diversi, biografie dei suoi personaggi illustri, che danno un senso nuovo alla parola coraggio, o forse sono solo esempi di straordinaria follia.
Questa parla di Sonia Maino, che sposa quasi per sbaglio un ragazzo incontrato in Inghilterra di nome Rajid e si ritrova come suocera Indira Gandhi, la terribile signora con il ciuffo bianco, quella che incupisce i sogni per sei mesi dopo aver letto "I bambini della mezzanotte" di Rushdi.
L'India fa apparire tutto assurdo, qualunque paragone non regge. La tragedia, la felicita', la democrazia assumono significati imprevedibili quando li applichi a quelle dimensione, a quelle moltitudini, a quella poverta', a quella complicazione.
Una volta ho letto che Mussolini aveva affermato che governare l'Italia non era impossibile, era inutile. Che smidollato! Allora Nehru cosa avrebbe dovuto dire?
Com'e' possibile che abbiamo problemi in un straccio di paesino graziato da un clima semiperfetto, appoggiato su mari luccicanti, a meta' fra uno dei Continenti piu' ricchi e pieni di benessere del mondo - l'Europa - e quello dov'e' nato tutto, l'Africa?
Della diversita' culturale fra nord e sud ne vogliamo parlare? Cosa c'e', di cosi' diverso? L'avete mai visto un sikh rispetto a uno shadu indu'? Un medico di Delhi - con la faccia di uno che imita l'espressione che crede avessero gli inglesi cento anni fa - a fianco di una contadina in sari spersa in mezzo alle compagne o di un ragazzo all'uscita di un cinema con il telefonino all'orecchio e la moto?
Sto dicendo cose molto banali, ma e' impossibile non pensare che se ce la fanno loro, a stare insieme e a sentirsi una Nazione, noi dovremmo prendere tutti i simpatici ragazzotti con le camicie verdi e mandarli in gita d'istruzione laggiu', con permanenza minima vent'anni, per vedere se si mettono a posto il cervello.
Se ce la fanno loro, con le loro stragi periodiche che sembrano subito dimenticate, perche' far tremila morti in India e' un attimo, tremila persone le trovi su un solo autobus.
Una volta Shankar, l'autista dell'Ambassador che ci accompagnava in giro per l'India, ci ha chiesto se ci spiaceva fermarci un secondo in una piazzola dove riposava un gruppo di camionisti. Prendevano il te', ma mica in un Autogrill. C'era una pentolina d'acqua su un fuoco improvvisato, con tante persone sedute sui talloni intorno. Guardavano l'autostrada, che in India e' un spettacolo in se', una cosa cosi' incredibile che potresti fare il viaggio solo per quella, per vedere passare la gente a piedi con le gerle, i suv, i carretti e gli elefanti. Shankar prima faceva il camionista anche lui, poi aveva fatto carriera, guidava le macchine dei turisti biondi e bianchi come noi. Credo che volesse mostrarci ai suoi amici, esibirci come status symbol, dato che eravamo sorridente, lo chiamavamo Shankar - ji in segno di rispetto ed eravamo chiaramente nelle sue mani per non perderci in un mercato o per evitare che un cammello ci calpestasse sulla strada.
Infatti appena lo abbiamo lasciato una mucca gigantesca mi ha fatto ettolitri di pipi' su un piede e mio marito si e' fatto infinocchiare da un sedicente santone. Ma queste sono altre storie.
I camionisti non parlavano inglese. Mi hanno cercato uno sgabello perche' io sui talloni faccio fatica a starci ore come loro. Mi hanno messo un bicchierino di te' in mano. Poi hanno ripreso a chiacchierare in indi, credo. Ci sono migliaia di lingue in India.
Quando siamo risaliti in macchina ho chiesto a Shankar di cosa stessero parlando. Del piu' e del meno, mi ha risposto. Sai, fra poco ci sono le elezioni e preoccupa l'opposizione a Sonia Gandhi e al Partito del Congresso. I musulmani dell'Uttar Pradesh eccetera.
I camionisti stavano parlando di politica. Politica nazionale. Erano di una poverta' che solo in India poteva sembrare non radicale, semplicemente perche' c'e' sempre qualcuno piu' povero di te. Erano sporchi, sfruttati e sottopagati. Seduti sotto un caldo torrido in dicembre - pieno inverno anche da loro - che poteva solo peggiorare fino al diluvio del monsone. Si sono interrotti solo un attimo per guardare questa persona candida e un po' spersa che il loro ex collega con i capelli impomatati e l'aria di chi crede che - nei limiti della tua casta - se vuoi migliorare la tua vita puoi farlo aveva portato li'. Poi hanno ripreso il loro discorso perche' era piu' importante.
Ho scoperto che gli indiani sono grandi appassionati di democrazia. Trovano incredibile che qualcuno voglia il loro parere su come governarli e, di conseguenza, si impegnano  parecchio per dare le indicazioni giuste.
Penso a cosa debba pensare Sonia se ogni tanto viene in Italia a trovare i suoi parenti. Non penso abbia dubbi sulla scelta che ha fatto tanti anni fa, nonostante il dolore che ha contraddistinto la sua vita.
Di questo sto leggendo oggi, sdraiata sulle sdraiette in giardino. Di Sonia del torinese, nuora di Indira Gandhi.
Penso all'unico Paese dove vorrei tanto tornare. Ho sognato l'India. Poi ci sono andata e ho avuto paura. Venti giorni di puro terrore, pochissimi minuti di vera rilassatezza in mezzo all'inquietudine di quella differenza radicale, di quel posto in cui non sei mai al riparo dalla morte, dalla malattia, dal rischio. Anche con tutti i tuoi soldi e il tuo biglietto di ritorno in tasca, la sensazione e' che quel Paese possa comunque decidere di ingurgitarti e digerirti. Se lo fa, non c'e' ambasciata che ti possa recuperare, non c'e' familiare che ti possa cercare. Non resta che affidarsi al fatalismo di quei milioni di dei, a quella spensieratezza della gente che non puo' farsi paranoie, perche' la realta' offre gia' abbastanza motivi di preoccupazione per inventarsene altri.
L'India e' uno dei posti dove ho provato la massima felicita' della mia vita. Fa tanto mito anni settanta, fa tanto fricchettone di terza generazione. Fa tanto Samuele Bersani di quando era giovane e ironico, si', l'India e la piadina romagnola. Ma.
L'ebrezza di essere nessuno in mezzo a una massa umana straordinariamente ottimista. Il sapere che tu sei nulla nel flusso dell'umanita', un nulla destinato a tornare per l'eternita'. La serenita' della reincarnazione, dell'attribuire un'anima alle mucche, ai fiori e alle scimmie. Vedere chiaramente che se solo gliela riconosci, e' palese che ce l'hanno davvero.
L'India ha dato molto al mio giardino. Nessun albero, nessuna pianta. Niente di quello che cresce la' sopporterebbe il secco - totalmente relativo - di questo clima tutto sommato da Mediterraneo.
Ha pero' dato l'anima e l'intelligenza agli animali e agli altri esseri viventi che lo popolano, quel sospetto di fondo che dentro ai miei gatti alberghino Gandhi e Gesu'.
Quella certezza che nelle rose che sono figlie di quelle del fosso della campagna in cui sono nata ci sia un po' dell'Arcisa e delle altre vecchiette con cui sedeva nelle sere d'estate.
Il dubbio che ci sia qualcosa che non vediamo in tutto quello che vediamo. L'India mi ha regalato un tempo circolare in cui non riesco a credere nel frastuono del lunedi' - venerdi', ma nella quiete del mio giardino, mentre ascolto le piante crescere, si'.

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