domenica 29 maggio 2011

Non voglio essere un piumino di tiglio

E un altro giorno e' andato. E un altro sogno e' andato. Un'altra illusione di stabilita', di casa, bruciata. O forse no.
Giusto perche' non pensiate che sia pazza: venerdi' e' arrivata la proposta. La proposta di lavoro che aspettavo da tempo. La fuga perfetta. Mesi di colloqui e poi la telefonata: "Posso parlarle, dottoressa? Ha tempo per segnarsi qualche cifra?".
I numeri, intesi come soldi, sono tanti. Molti di piu' di quelli che prendo ora. Non troppi, altrimenti penserei che mi stanno sopravvalutando, che corro il rischio di bruciarmi subito. Non pochi, perche' altrimenti non staremmo qui a parlarne. Pero' i soldi non sono la questione.
La mia filosofia sul denaro e' on - off, o ci sono o non ci sono. Se non ci sono e' una tragedia. Se ci sono bastano. Non ho gusti particolarmente raffinati, le borsette di vuitton non mi piacciono. Sul serio, le trovo oggetti poco interessanti. Non sono una viaggiatrice zaino in spalla, ma non ho bisogno del lusso. Dei posti mi piace sentire il caldo, non l'aria condizionata.
Amo la mia casa - che e' bellissima - anche perche' e' in periferia. In centro ci stanno i cagoni, penso di avevelo gia' scritto, quelli che non hanno mai piantato il basilico con l'indice come ho fatto stasera e non si sono mai grattati via la terra da sotto l'unghia con lo spazzolino apposta.
Avere molti piu' soldi, incomparabilmente piu' soldi, non cambierebbe di una virgola i miei desideri e i miei sogni. Felicita' e' un dondolo, nessuno me lo toglie dalla testa.
Il lavoro, dicevamo. Il lavoro nuovo consiste nel ricominciare daccapo a fare quello che ho fatto nell'azienda in cui lavoro oggi. Un pazzesco rewind, perche' loro sono messi come era messa la mia azienda nel 2007, quando io e la mia mentore - o ex mentore, ora aguzzina indifferente o ferita, che e' la stessa cosa - abbiamo cominciato a lavorare li'. Tutto da fare, tutto da inventare, un percorso da costruire, sul quale trascinare gli altri, convinte che li avremmo fatti piu' felici. Perche' noi siamo i buoni in un'azienda di cattivi. Quelli che si occupano di redistribuire i soldi, di ribilanciare gli interessi, quelli che hanno lo sguardo al valore di lungo periodo e non al profitto di breve termine. Noi siamo la sostenibilita' in una multinazionale del petrolio, e ho detto tutto. Quante volte i colleghi mi hanno detto: "voi si' che fate cose interessanti, voi si' che fate un bel mestiere." E' vero, e' un bellissimo mestiere, con tutto il dolore delle contraddizioni, dello stare sul crinale perche' non sai e non hai modo di sapere se quando ti dicono che inquini i fiumi in Africa e' vero oppure no. Puoi solo rispondere che cerchi di non farlo, che se lo fai cercherai di farlo sempre meno. Devi cercare di non essere ridicolo negando l'evidenza e di continuare a crederci. Quindi un bel mestiere, che spesso fa venire il buco nello stomaco, perche' solo i cretini non hanno dubbi e quindi ne hai anche tu tutti i giorni.
Le differenze fra l'attuale lavoro e la proposta: quelle radicali sono due. La prima e' che non c'e' la mentore, nel senso che avrei io il suo ruolo. Questa e' la cosa piu' divertente di tutte, ammetto con un filo di superbia che e' l'aspetto che mi fa meno paura. Penso sinceramente, umilmente, di doverle tutto.
Di lei ho l'essere esigente fino alla maniacalita' (vi ricordo che tolgo a mano gli afidi alle rose invece di usare un semplice spray), da lei ho preso il coraggio e il non avere paura delle imprese che sembrano troppo grandi (lo dimostra il giardino intero, i pomodori che prosperano nella grande citta'), per lei ho "messo su il canino", come dice mio marito, nel senso che ho imparato a essere dura quando serve, a non temere il conflitto, a non essere sempre troppo gentile. Troppo emiliana per questa citta'.
Di migliore, rispetto a lei, ho il fatto che voglio bene agli altri e, anche se sembra incredibile dato il mio portato di traumi adolescenziali, sono abbastanza convinta che gli altri vogliano bene a me. Sono meno spaventata, meno insicura, meno aggressiva perche' non ho bisogno d soffiare a chiunque mi voglia solo fare una carezza.
Per questo penso di poter fare onestamente, con dignita' e con una certa possibilita' di successo il mio mestiere nella nuova azienda.
Lei e' piu' geniale di me. Io sono piu' umana. Qualche vantaggio conto che ci sia.
La seconda gigantesca differenza e' che la nuova azienda e' percepita come buona quanto l'altra e' percepita come cattiva. Anche questa si occupa di bisogni primari: non energia, ma cibo. Pero' non ha addosso l'odore di zolfo, e' portatrice di un messaggio interessato, ma condivisibile, che invita a non mangiare carne, ma cereali e legumi.
Io sono un po' stanca di dire una cosa in cui credo, cioe' che l'emancipazione femminile, la scolarizzazione, la morte a novant'anni invece che a trenta sono sottoprodotti del petrolio. E' vero, ma e' duro.
E' bello pensare di andare a lavorare per qualcuno che non e' percepito come un male necessario, per qualcuno che ha inventato le sorprese nelle merende (o almeno me lo ricordo cosi'). Non che la' non ci sia nulla da ridistribuire. Si tratta di nutrire il pianeta, niente meno. Ma almeno non ci sono foto con i cormorani ricoperti di merda e i pescatori che pescano cadaveri perche' e' esplosa una piattaforma e a te sembra di prendere tutti in giro.
Qual e' il problema, direte voi? Ti danno soldi per fare qualcosa che pensi di saper fare, lontano da colei che ti ha dato tutto quello che poteva darti e adesso ti succhia solo allegria e fiducia nel mondo, in un'azienda che rispecchia quello che sei o vorresti essere.
Il fatto e' che devo trasferirmi dalla citta' in cui vivo, andare a stare in una deliziosa cittadina piu' piccola, piu' vicina al posto dove sono nata, dove la gente, probabilmente, non se ne fara' niente del mio canino, che piano piano regredira', riportandomi a essere una personcina per bene invece che un lupo mannaro.
Devo lasciare mio marito, i gatti, il giardino per quattro notti la settimana. Sperando che un giorno o l'altro lui, loro e le piante salgano su un camion e mi raggiungano, il che mi allontanerebbe dai miei vicini, da quest'equilibrio precario e prezioso che ho costruito in quest'anno.
Adesso che ho capito che il lavoro non e' tutto, che mi interessa la mia vita, che mi importa dei gesti piccoli, dello strofinare le foglie di limone fra le dita per sentire l'odore, del bollettino dei boccioli sbocciati la mattina, dei passi sul pavimento caldo di sole del giardino. Adesso che so cosa vuol dire sedere con la brezza fra i capelli sul dondolo la sera, osservare l'ortensia che cambia colore, bere il cappuccino passeggiando fra pomodori e zucchine, spazzare i cadaveri di scarafaggio che la gatta piccola mi ha portato nella notte intorno al letto, trovare una piantina del vicino misterioso da piantare in cortile, desiderare almeno un po' un figlio.
Adesso che c'e' pace qui, fra i muri protetti della casa che mai ho avuto il coraggio di sognare, che ci sono i pantaloni a righe e la luna appesa nel buco fra i tetti postindustriali, che c'e' mio marito sul divano e la pizza mangiata fuori, l'albero di Natale fatto con i rami potati delle tuje, la poesia di un tempo che finalmente puo' rallentare.
Occorre sognare un monolocale che abbia almeno un pezzetto di giardino o un piccolo balcone. Occorre sperare che il suo ottimismo sia premiato e che fra solo un anno trovi un lavoro anche lui nella piccola citta'. Bisogna pensare che il gatto grande non si offendera' e che nel suo modo strano mi vorra' ancora bene anche se lo tradiro' andandomene. Che la piccola non dimentichi come mi fa le fusa.
C'e' un'altra casa da sognare, dubitando che possa essere felice come questa, piante che si spera sapro' acclimatare e che non prenderanno malattie terribili fra il lunedi' e il venerdi'. Ci sono bambini che non verranno su nemmeno in questa casa, una piscinetta gonfiabile in fondo al giardino che non esistera' mai.
Un dolore sordo di una vita destinata a essere sempre di corsa, condannata a non conoscere decrescita e rassegnazione anche quando li desidera e li ha ottenuti.
Mi sento come se di nuovo fosse comparso il destino a dirmi cosa devo fare, perche' l'oggi e' gia' ritornato solo un'attesa di domani.
Vorrei potermi fidare della voce che ho dentro, che e' limpida come quella di un cantante di quando ero bambina, che aveva un ritornello che diceva: "hai davanti un alto viaggio e una citta' per cantare" e sperare che, alla fine di quel viaggio non ci sia ancora un altro viaggio, ma un giardino, i miei gatti e mio marito, con un bambino di qualunque colore in braccio.
Ho piantato rucola e basilico, oggi pomeriggio, mentre facevo questi pensieri. Pensavo di non voler seminare solo piante annuali. Pensavo che voglio essere una quercia e non un piumino di tiglio, che non voglio correre il rischio di volare via lontano da lui e da loro.
Bisognera' solo stare a vedere se il mio destino me lo consentira'.

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