giovedì 26 maggio 2011

Se il giardino avra' le gambe

Il cielo ha il colore dell'oleandro, un color guancia di bimbo appena accennato. La vita scorre intorno, nelle case che sovrastano il giardino. Il ragazzo del sax - personale colonna sonora delle mie sere qui - si esercita con le finestre aperte, nella sua casa da qualche parte in alto a destra (partendo dal dondolo). Un neonato urla e penso sua madre lo mettera' in lavatrice fra poco. Niente tv stasera, questo e' strano. Il cane abbaia alla gatta piccola, che passeggia indolente sul bordo del muro. E' gia' stanca prima ancora della caccia notturna agli scarafaggi e ai grilli, il suo modo per dimostrare che se in questa casa non ci fosse lei...Il gatto grande, avvolto in troppo pelo, e' gia' steso dal caldo e cosi' restera' fino a settembre.
E' tutto immobile, come la mia vita in attesa, a palla di riccio. La frenetica attivita' della rosa vecchia e il fiorire tardivo del peperone sono le uniche eccezioni a questa staticita' apparente. Persino gli afidi, che tolgo a mano la mattina per evitare di dare insetticidi, tanto il peggio e' passato e sono relativamente pochi, stanno immobili a farsi pizzicare via.
In realta' tutti gli abitanti del giardino sono al lavoro. I pomodori a ingrossare le loro miniature di pomodoro, il limone a produrre quel suo unico limoncino su cui riversa un'attenzione tale che ogni mattina vado a controllare che un gatto disgraziato non l'abbia fatto cadere per sbaglio, altrimenti mi tocca chiamare lo psicologo dei limoni.
Gli ulivi - bonta' loro - hanno trasformato in minuscoli pallini tutti quei loro inutili fiorellini che sembrano paillettes. Ce li avete presente i fiori dell'ulivo? Ce le avete presenti le paillettes degli anni ottanta? Uguali. Fiori piccolissimi e bianco sporco, che si staccano lasciando il centro attaccato alla pianta (l'oliva, appunto), per planare per terra con il loro buco perfettamente circolare al centro, pronti per essere cuciti su un top di Madonna dei bei tempi.
Spero che la mia vita sia come il giardino in questo momento. Una catatonia apparente, sotto cui si percepisce un gran tramestio, un cambiamento che esplodera' d'un tratto, dopo un'immensa preparazione silenziosa e invisibile. Io sono pronta, devo solo aspettare.
Ieri sera pensavo a una frase di Che Guevara, di quelle che si scrivono sui diari da adolescenti, che dice: "la mia casa avra' le gambe e i miei sogni non avranno confini", me la ricordo piu' o meno cosi'.
Pensavo che se cambiero' citta', per seguire un lavoro che sara' finalmente solo un lavoro, voglio un giardino con la terra, senza pavimento.
Anche se non ne trovero' mai uno cosi' sicuro per i gatti, ne' per me.
Pero' pensavo anche che ci portero' le mie piante dentro i vasi, che non le mettero' in piena terra, perche' altrimenti poi come faccio se le devo spostare? Solo annuali, tanti fiori da taglio e l'orto a punteggiare il giardino e le mie piante  in assetto da viaggio perenne, pronte a ripartire con noi se dovremo di nuovo andare.
La nostra vita sembra prendere una piega cosi', da non poter mai chiamare casa una casa, nemmeno questa che e' il mio rifugio, il posto dove stare al sole e fare il buco e nascondermi nello stesso tempo.
Allora daro' ragione mio marito, che mi dice sempre che il tuo posto non la fanno i muri, ma la facciamo noi, e i gatti.
Io aggiungo il giardino, il mio giardino immobile e con le gambe.
Quello che spero mi sia sempre specchio, confronto e conforto.
Come lo e' ora.

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