giovedì 19 maggio 2011

Il nocciolo del problema e' un nocciolo di ciliegia

Domandona del millennio: cosa conta nella vita?
Quando mi sono posta la questione del cambiamento nella mia vita, ovviamente la prima leva che ho pensato di muovere e' stata quella professionale. Hai sbagliato tutto nella vita? Cambia lavoro! E' la risposta piu' ovvia, quella che la societa' suggerisce. Mica con tutti i torti. In ufficio ci passo una media di dieci ore al giorno nei periodi tranquilli, due mesi fa ne facevo dodici ininterrotte perche' dovevo finire il documento e poi non e' servito a nulla. Ininterrotte senza pausa pranzo, senza caffe', senza uno sguardo a corriere.it, niente. Solo lavoro fitto. Quindi cambiare quello che fai nel cento per cento delle tue ore di veglia e' un'idea ragionevole.
Mi sono guardata in giro, ho mosso qualche pedina e, siccome sono sempre stata una bambina diligente, sono arrivate altre opportunita', dentro e fuori dalla mia azienda.
Il problema e' che il tempo fra aziende e lavoratori e' asimmetrico. A te chiedono  capacita' immediata di reagire, loro si prendono i mesi.
Nel frattempo sono successe delle cose.
Ho scoperto che mi faceva piacere pensare e che ero ancora capace di tradurre i pensieri in parole che rispecchiavano me e non la corporate identity di una multinazionale. Belle o brutte non lo so, ma mie, non negoziate con altre mille voci, non mediate da una costante epurazione di senso compiuto. Frasi da cui erano banditi i grandi mali del linguaggio aziendale: i pertanto, gli acciocche' (giuro, c'e' chi scrive acciocche'), l'aggettivo "specifico" e le best practices, normalmente pronunciate bestpratics. Discorsi che non avevano bisogno di essere resi seri e istituzionali da parole astruse o perifrasi agghiaccianti. Concetti che volevano essere tali, senza paura e senza mezze intenzioni.
E' fiorito il giardino, con il suo carico di piacevoli impegni e di idee, quelle che fanno dire a qualcuno in un libro che un giorno comprero', che per il momento ho solo sfogliato, che un giardiniere vive nel futuro. In effetti non riesco a guardare le piante senza pensare alle cassette che mettero' sugli angoli dei muri l'anno prossimo, al rinvaso che dovro' fare degli oleandri, che sono il doppio dello scorso anno e ormai scoppiano nelle loro conche. Ieri sera leggendo un manualone enciclopedico ho scoperto che il prezzemolo vuole l'ombra, a differenza delle altre aromatiche, quindi potro' riempire anche lo scaffale piu' basso dell'orto pensile. Ho ritrovato la gioia smarrita nell'inverno di osservare per mezz'ora da vicino le mie rose, che beneficiano dell'attenzione costante, e di scoprire un uovo di pidocchio prima che sulla stessa foglia ne spuntino cento. E' esploso di nuovo il rincosperno - il mio e quello del vicino - con quell'odore dolciastro che e' casa mia, senza dubbio. Quest'anno al mio giardino si e' aggiunto quello comune e la gioia dell'ennesima signora che ti ferma sulle scale per dirti quanto e' piu' bello tornare a casa con tutte quelle rose rosse che esplodono da quasi un mese sul muro del garage.
I gatti sono diventati sempre piu' amabili questa primavera. Forse perche' hanno smesso del tutto di considerarmi e sono belli da osservare, selvatici e indipendenti come tigrotti cresciuti male. Me l'ha detto anche la veterinaria quando sono andata a farli vaccinare. E' stata una lotta tenerli fermi, mentre miagolavano come se li stessimo scannando, sullo sfondo di un coro di dalmata e cani minori che si associavano alla passione dei due poveri cristi dalla sala d'aspetto. Come sono cambiati, mi ha detto. Soprattutto il grande, che conosco da sempre. E' diventato adulto e animale, dopo anni queruli da bambino a quattro zampe, dipendente dalla madre fittizia che ero io. Mi sono inorgoglita, mi e' sembrato di avere fatto di piu' nella vita garantendo la felicita' - attraverso una finestrella a bascula e un giardino - a due esseri che non hanno chiesto di venire al mondo, ne' di essere al mio fianco che diventando amministratore delegato di un'azienda.
Deve essere, nel piccolo, quello che si prova ad aver fatto il tuo come genitore, assicurando la prossima generazione di disgraziati a questo pianeta. Esagerato, ma mi sono sentita cosi'.
Arrivo al punto. Oggi ho fatto l'ennesimo colloquio finale, nella fighissima sede di una fighissima societa' di cacciatori di teste, che con una definizione cosi' uno di base dovrebbe scappare, invece in questo mondo storto si aspetta con trepidazione una loro chiamata.
Mi hanno detto quanto sono stata brava a passare decine di colloqui clone con gente clone, solo ogni volta un po' piu' importante.
Mi hanno detto quanto si aspettano da me, quanto attendono con ansia il mio impegno, il mio contributo, la mia voglia di fare.
Mi hanno parlato della bellezza di costruire la mia struttura e di mettere me stessa in un progetto. Che e' un foglio bianco.
Mi hanno chiesto dedizione e collaborazione e attenzione e un sacco di altre cose che finiscono in zione.
Io non riuscivo a pensare altro se non che non avevo abbastanza voglia. Che non ero la persona per loro. Che le cose che finiscono in zione da dare per soldi le avevo finite. Che volevo mettere tutta la mia capacita' di zione in gratuita' e bisogno di stare in comune. Pensavo che avrei dovuto cambiare casa, vedere meno le persone a cui voglio bene e i miei gatti, senza che questo risolvesse il mio problema di relazione con l'azienda, perche' questa avrebbe cambiato nome, ma non pelle o missione.
Non voglio smettere di lavorare. Non so lavorare per soldi, ma so lavorare per la dignita' del lavoro. Voglio che il lavoro sia la mia vita, ma non escluda la mia vita. Sono slogan, lo so, ma sento che devono diventare veri, anche se non so come. Mi hanno detto che hanno messo a punto il pacchetto, che presto mi faranno "la proposta". Puo' darsi che mi offrano molti soldi, mi promettano prestigio e indipendenza, mi facciano sentire importante dandomi benefici di molti tipi diversi. Spero di riuscire a mantenere il coraggio di sentire ancora quel no in fondo allo stomaco, quel senso di ingiustizia per me che ho provato oggi, a dispetto della tentazione sociale del non poter dire di no. E' vero che i treni passano una volta sola e che potrei pentirmi amaramente di questi pensieri. Potrebbe anche capitare che ancora una volta alla fine faccia la scelta che ci si aspetta da me, quella della brava bambina con i desideri sociali ben interiorizzati e l'ambizione sana a guidarla. Stasera non lo so.
Penso solo che quel miscuglio di desideri, paure e indecisioni che ho in fondo allo stomaco sia come il nocciolo di una ciliegia. Puoi sputarlo e far finta che sia un rifiuto. Puoi deglutirlo e buttarlo via con la cacca, dopo essertelo tenuto un po' in pancia. Puoi piantarlo per terra. Novantanove volte su cento non succede niente. Ma i ciliegi stanno qui a testimoniare che una volta almeno cresce una pianta.

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