martedì 17 maggio 2011

Tre fragole in salsa bollywood, per favore

Ieri sera ho visto il mio nuovo film preferito. Il titolo e' "My name is Khan" e mi sento di consigliarlo a tutti.
Lo consiglio agli amici intellettuali di sinistra, perche' e' un film di Bollywood, che dopo The Millionaire va di gran moda. L'ha diretto un grande regista indiano, figlio di una dinastia di registi - in India molto funziona per dinastie. L'attore principale - assolutamente impressionante nel ruolo di Khan, che non e' un personaggio facile - e' affidato a uno che a me sembra brutto, ma che e' una specie di Brad Pitt del subcontinente. Sospetto che le ragioni dell'amore degli intellettuali per la nuova Bollywood siano due. La prima e' che, dopo decenni di cinema radical chic intimista francese, penso che per loro sia stato un sollievo andare al cinema e persino divertirsi, uscire gioiosi accennando qualche passo di danza e facendo le facce. Il secondo motivo e' che nessuno dei miei amici intellettuali di sinistra e' mai stato in un cinema di Jaipur, esperienza che molto fa riflettere sulla genialita' assoluta del genere umano, ma conferma anche senza ombra di dubbio che il cinema non e' una roba su cui farsi dei gran pipponi mentali e magari pure un paio di esami all'Universita' (ebbene si', li ho fatti, ma giuro che non facevano parte del piano di studi facoltativo). E' guardare una storia, caderci dentro, partecipare con urla e schiamazzi mentre i bambini ti colano il gelato sulle ginocchia, i loro genitori producono un fratellino due file piu' indietro e le signore sgranano i piselli in prima fila.
Comunque My name is Khan ha dentro di se' molte ragioni intellettuali e di sinistra che forniscono adeguata giustificazione morale. Parla abbastanza male degli Stati Uniti pur rispettandone i miti fondativi (se hai voglia di lavorare e' la terra delle opportunita'), e' ambientato nel periodo del grande cambio dall'epoca di Bush a quella del mio amico ortolano Obama, e' un elogio dell'onesta', del candore e del bene che trionfano grazie alla grande stampa watchdog (si', ho fatto anche un esame di giornalismo, se e' per questo. Devo crocifiggermi per il mio passato?), ma anche una spietata critica a ignoranza e qualunquismo.
Non meno importante, e' ambientato per buona parte in una San Francisco strepitosa.
My name is Khan piacera' anche agli amici pop, perche' e' una grande e meravigliosa storia d'amore, fatta di malattia, che racconta come si possa amare non solo una persona diversa, ma addirittura qualcuno che e' considerato un disabile. Il morbo che e' parte dell'identita' di Khan e' una forma di autismo che impedisce di leggere i sentimenti altrui, una specie di malattia dell'empatia. Una cosa che di per se' sembra precludere a priori una storia d'amore (come se poi i cosiddetti normali, soprattutto se maschi, fossero normalmente dotati di grandi capacita' di comprensione delle altrui emozioni) e invece no. I buoni sentimenti traboccano, si riversano sulla donna amata, ma anche su madri, fratelli e cognate, nonne nere incontrate per caso in cittadine dell'America profonda, interi caseggiati di Calcutta. Solo che non sono fatti di parole - perche' Khan non le sa dire - ma di fatti. Khan aggiusta quasi tutto, perche' la sua clamorosa intelligenza strana e' capace di capire i segreti di ogni meccanismo meccanico. Solo che poi aggiusta anche i destini.
Questo film si puo' consigliare anche a tutti quelli che hanno voglia di avventure, ma non di avventure sterili, in cui tutti si menano e uccidono apparentemente senza una valida ragione. Va bene per chi ha voglia di avventure politiche, di quelle che cambiano la storia, anche se nel piccolo. E' un film politico nel suo bisogno di concretezza. Un film operaio di parrucchiere e agenti di commercio, mica di principi e principesse. Di modesti maestri di scuola disoccupati che si rivelano grandi narratori, al massimo di professoresse fragili di piccole universita'. E' un film sulle religioni, sui sentimenti altruistici che possono stimolare e sulle catastrofi che piu' frequentemente possono generare.
Insomma, sono contenta perche' ho fatto un pepe (diminutivo di pepetrolio, coniato da mio marito che mi chiede alla sera:"hai scritto un pepe?") intero su un film e non ho detto nulla della trama, perche' odio quelli che ti dicono devi vedere questo film e poi te lo raccontano cosi' nei particolari che ti passa qualunque curiosita'. Fate cosi', guardatelo e poi rileggete quello che ho scritto, cosi' vediamo se ho azzeccato tutte le categorie cineaste.
Altre novita' della giornata: al momento ho tre fragole in maturazione. Calcolando che l'unica prodotta fino ad ora l'ho dovuta dividere a meta' col coniuge e che ero piu' interessata alla riuscita estetica dell'oggetto che al sapore nutro grandi aspettative.
Seconda novita': la mia citta', almeno in questo primo turno, ha sostenuto la mia voglia di cambiamento, con un risultato commovente e inaspettato.
Da domani cominciano due settimane molto dure, in cui mi aspetto di tutto da quelli che hanno governato fino a ora. Pero' quando cambiava il vento sulla banderuola del tetto della casa di Mary Poppins ci stava un bel po'. Speriamo che i dirigenti nazionali, da entrambe le parti, ci lascino in pace a discutere del futuro di questo posto, nell'orto che c'e' qui. Che la citta' non diventi il laboratorio di un bel niente. Che non si teorizzi un domani di effetti valanga e di grandi decisioni. Che si prenda il voto per quello che e': un dialogo fra una serie di persone che cercano una strada migliore per stare insieme. In questo momento, in politica come in ogni cosa, non mi interessano le macroanalisi e i macrodisegni.
Mi importa che le cose piccole maturino in pace.
Come le mie fragole.

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