martedì 31 maggio 2011

La cosa pubblica e il dolore privato

Il mio nuovo sindaco (gia', nel frattempo la mia citta' ha abbracciato, senza esitazioni, il cambiamento) usa spesso parole nuove, parole che non si e' soliti sentire all'interno del discorso politico.
Una di queste e' l'aggettivo "affettuoso". Dice che la nostra deve essere una citta' affettuosa, una citta' dove nessuno si sente solo.
Oggi ho capito cosa intende.
Sono stata a fare un accertamento medico particolarmente fastidioso. Ci sono andata da sola, un po' perche' ho sopravvalutato la mia soglia di resistenza al dolore, un po' perche' mio marito era al lavoro.
Mi hanno comunicato che la signora delle prenotazioni aveva omesso un particolare, quando avevo telefonato per fissare l'appuntamento, cioe' che in quel centro non fanno esattamente lo stesso tipo di esame che la mia dottoressa aveva richiesto. Me l'hanno detto con me ormai sdraiata sul lettino, quindi posso solo sperare che lei non si formalizzi e che si faccia andare bene il risultato, altrimenti dovro' risottopormi a una piccola tortura. Risultato che non ho nemmeno capito se sia positivo o negativo, ed io ho una competenza medica superiore alla media perche' mia mamma ha studiato medicina e in casa mia si e' sempre masticato il linguaggio d base, non oso immaginare cosa avrebbe capito chiunque altro.
Mi hanno fatto pagare 160 euro, tanto ho l'assicurazione, no?
Non mi hanno fatto l'anestesia, dopo mi hanno lasciata sdraiata sulle seggioline della sala d'aspetto a far passare le fitte peggiori con il conforto di un'iniziezione di Buscopan, perche' non c'erano altri lettini e bisognava far entrare la disperata successiva. Solo un'altra paziente in attesa mi ha chiesto come stavo.
Lo scooter mi ha abbandonata sulla via del ritorno (non so perche', dato che mio marito l'ha riportato a casa senza problemi poche ore dopo) e un signore mi ha intrattenuta dieci minuti mentre decidevo se chiamare o meno il carro attrezzi, con quel misto di galanteria e untuosita' che caratterizza troppi maschi di questo paese, cui non sai se sorridere o dare del vecchio porco.
Ho preso la metro sognando solo di poter lasciare una borsa troppo pesante e stare ferma a letto per un po', a fare il mio buco con i gatti come guardiani.
Mentre scendevo verso il treno ho visto un cartello con il sorriso del mio sindaco, che mi augurava il buongiorno.
Non mi e' venuto da mandarlo affanculo.
Mi sono sentita rassicurata.
Penso che fosse della mia solitudine di oggi che l'ho sentito parlare in Piazza del Duomo, penso che quando parla di citta' affettuosa pensi a quanto mi sarebbe servito uno sguardo complice oggi. A quanto avrei avuto bisogno di una dimensione pubblica, perche' non ci sono cazzi, secondo me: quando hai del male addosso, quando ti devi fare esplorare  per capire se la tua vita prendera' una direzione o un'altra, se avrai o non avrai figli usciti dalla tua pancia, vuoi solo che lo faccia qualcuno che non ha interesse - economico, di soldi e guadagno - al fatto che gli esami siano positivi. Vuoi la compassione di un medico che spera tu non abbia piu' bisogno di lui, vuoi il conforto di un lettino anche in un posto senza pavimenti in parquet lucido e che qualcuno di autorevole ti dica che passera', vuoi uscire per strada e non essere fermata da un vecchio marpione, ma da qualcuno che ti chiede se vuoi una spinta per far ripartire il motorino.
Ce l'hai, ce l'abbiamo dura, sindaco mio. Non so se ce la farai, se ce la faremo. Non so nemmeno se potro' rispettare la promessa e rimanere a vivere in questa citta', il lavoro e l'Emilia vogliono portarmi via.
Ovunque vada, pero', mi portero' addosso il tuo uso di parole familiari in una sfera non banale, la dolcezza e lo stupore dello sguardo che avevi ieri sera, mentre tram arancioni risuonavano di "Tutta mia, la citta'" e, almeno un po', ci siamo sentiti tutti a casa.

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