Ho fatto un sogno in cui il mio condominio riusciva a farsi dare un sacco di soldi dal Comune per diventare un modello innovativo di convivenza e felicita' urbana.
Il mio condominio e' fatto di due palazzine. In quella che da' sulla strada - che e' una strada quieta e caotica allo stesso tempo, con un sacco di ape car parcheggiati la sera e la gente di tutti i colori che sta a chiacchierare sulla soglia delle case, o alle finestre del piano terra - ci sono due negozi vuoti.
Fra le due palazzine c'e' un cortile, con due garage ricavati dalle vecchie officine che una volta stavano dove ora c'e' il loft. Sopra ai due garage, ovviamente, c'e' un tetto.
Ho sognato che quei tetti diventavano orti. Uno si poteva chiudere d'inverno per farne una serra e produrre i pomodori e le fragole nella brutta stagione, l'altro invece restava scoperto. Ranuncoli da taglio e rose intervallavano gli ortaggi. Al centro del cortile c'era un orto girasole, una grande ruota con su dei vassoi piatti che giravano piano per seguire il sole. La ruota era collegata all'impianto fotovoltaico che abbiamo - per davvero - sul tetto delle palazzine.
Le vecchiette potevano coltivare l'orto girevole, perche' non occorreva ne' salire le scale, ne' chinarsi per raccogliere i frutti, bastava girare la ruota e la verdura che dovevi innaffiare arrivava proprio al tuo livello.
C'erano anche insalate verticali, che crescevano sui muri in apposite strutture e profonde vasche con carote e patate su tutti i ballatoi dei pianerottoli. Il pesco e l'albicocco del cortile abitavano grandi vasi (conche, con le c aspirate, direbbe la mia vicina, perche' lei e' toscana) che non facevano rimpiangere loro la piena terra. Facevano molto piu' del frutto singolo che esibiscono oggi. Negli angoli piu' ombreggiati stavano frutti di bosco e funghi. C'erano anche le galline, che razzolavano nel pollaio ricavato dal vecchio bagno del magazzino. Nessuno le uccideva, le allevavamo per le uova. Il gallo era cosi' felice che cantava alle 8 per non svegliarci troppo presto. Non avevamo conigli solo perche' non volevamo assassinarli per mangiarli.
I negozi sulla strada erano gestiti da noi: in uno vendevamo gli esuberi della nostra produzione, dopo averla distribuita equamente agli inquilini, secondo i bisogni e le possibilita' economiche di ogni famiglia. Meno a chi poteva comperare cibo biologico nei negozi di lusso, di piu' a chi tirava avanti con una piccola pensione o aveva un lavoro precario. I fiori, invece, erano dati a tutti in quantita', perche' la bellezza non e' una questione di soldi.
L'altro negozio era la sede dell'associazione che avevamo costituito per disseminare il nostro modo di stare insieme. Era anche il posto dove accoglievamo i visitatori, organizzavamo piccoli corsi di giardinaggio urbano e visite guidate per le scuole della zona. Facevamo pagare solo se signore snob e gli intellettuali snob. Tanto dopo che avevano capito che l'innaffiatoio pesa e che le rose bucano le dita con le spine non venivano piu'.
La cosa e' che eravamo tutti piu' felici. Certo, litigavamo perche' c'era sempre qualcuno che non voleva mettere i fagiolini perche' sua moglie era allergica o che dissotterrava di nascosto una patata. Sempre meno, pero'. Ogni giorno c'erano piu' condomini che volevano fare le guide all'orto o che si offrivano per un turno in negozio. Alcune signore si erano messe a fare la conserva di pomodoro nel cortile del loft, per non dover buttare via tutti quei bei cuori di bue che erano maturati tutti insieme. Gli uomini, il sabato, riparavano insieme i tralicci delle melanzane, che venivano sempre giu'.
Non avevamo firmato un patto, un accordo. Non avevamo stilato un regolamento ne' stabilito dei ruoli. Eravamo solo condomini che ogni giorno decidevano senza decidere di vivere meglio. La differenziazione del lavoro e' una cosa sana, nessuno di noi si sentiva un contadino, un commerciante, un educatore. Era solo una parte contenta della nostra vita.
Non eravamo diventati tutti belli, ricchi e chic. C'era ancora il rastone del quarto piano, la famiglia con i fiorellini di plastica legati al balcone e il cagnolino grazioso, la signora che al primo sole diventava marrone come il cuoio. C'era quella con la voce stridula e il figlio adolescente, a cui degli stronzi avevano scritto gay con lo spray fuori dal portone. C'era la sarta elegante e dritta come un fuso e la signora che assomiglia tanto a mia nonna. C'era il disegnatore di fumetti e l'uomo di fatica, il manager in carriera e sua moglie che ogni tanto si sbagliava e sorrideva.
C'ero io, che chiamavano Biancaneve per il modo che avevo di fermarmi a osservare i fiori mentre li innaffiavo, per come ero felice quando i girasoli risollevavano le foglie dopo avere avuto molta sete.
Ho fatto questo sogno e forse lo rifaro' ancora per vedere come va avanti.
Il fatto e' che non l'ho sognato da sola e quindi forse diventera' vero.
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