Week end di casa, di giadino, week end estremamente produttivo e quindi con un sacco di cose da scrivere, da non saper da cosa cominciare.
Va bene, andiamo in ordine sparso.
Scrivo seduta a gambe incrociate sul dondolo. Ho un dondolo. Possiedo un dondolo. Sto dondolando mentre scrivo. Felicita' somma, avere un dondolo.
Da bambina volevo crescere per comperare un dondolo.
Secondo mio padre il dondolo era - ed e' ancora, a dir la verita' - una cosa estremamente di cattivo gusto.
Quindi, pur abitando in campagna, non ne ho mai avuto un dondolo. Ho avuto un'altalena, che ho amato molto, ma con la seduta di legno a barretta, durissima, sottile, senza lo schienale. Insomma, niente a che vedere con la morbidezza del dondolo, con la capottina che fa ombra quando il sole scende (alle due del pomeriggio non c'e' capottina che tenga, il tubo di metallo si arroventa comunque e si puo' solo stare in casa).
Ciro e l'Arcisa erano, e Ciro e' ancora, purtroppo dimezzato perche' il suo "dopo la e" se n'e' andata troppo presto, i contadini di mia mamma. Per me erano piu' nonni che altro, perche' il concetto di dipendenti semplicemente non ce l'avevo. E in quel caso non avrebbe nemmeno avuto senso. Sempre che ce l'abbia in altri.
Comunque. Loro il dondolo l'hanno sempre avuto. Verniciato con l'antiruggine azzurro cielo, il colore piu' bello del mondo. Con di fianco i gerani rossi e rosa (altra cosa di cattivo gusto, a sentire mio padre e in questo caso non gli do torto) e dietro le spalle la recinzione dell'orto.
I loro nipoti - quelli veri - per proprieta' transitiva possedevano il dondolo, mentre io no. Quindi io ero piu' povera di loro, anche se io ero la figlia della signora e loro i figli dei contadini. Loro avevano anche le more, la carriola finta con su altri gerani e i tageti gialli, forse, per un breve periodo anche un nano da giardino. Insomma, avevano tutto.
Io ero invidiosa. Loro si sedevano a parlare basso sul dondolo, finita la scuola. Io anche. Pero' non era il mio.
Nella sere d'estate, la domenica, venivano a trovare Ciro e l'Arcisa le sorelle e i fratelli, con i rispettivi mariti e mogli. Stavano in tanti, seduti sul dondolo. Sembravano felici della felicita' che viene dal riposo dopo una settimana di fatica fisica. Andava giu' il sole, la' dietro, ma c'era la capottina. Sotto correvano piccoli cani a forma di salsiccia, brutti come la genetica ne ha fatti pochi, ma tanto intelligenti. Tutte femmine, si chiamavano o lilli o lola, a generazioni alterne.
Io continuavo a invidiare quella morbidezza, quel senso di contenimento e il dondolio lento e ritmico e - seduta su una piu' elegante ma durissima sedia di metallo - pensavo che un giorno avrei vissuto da sola e avrei comperato un dondolo.
Beh, ora ce l'ho.
La cosa bella e' che la gioia e' esattamente quella che immaginavo avrei provato. Ci sono cose che comperate da adulti non danno soddisfazione. Se entrassi oggi in un negozio e uscissi con una barbie non avrei piu' abbastanza fantasia per giocarci. Invece il dondolo e' felicita' eterna, assoluta, senza eta'.
E' domenica, un sole perfetto si corica al riparo della capottina, che presto sara' coperta di cacche di piccione. Non sono stanca fisicamente, ma lo e' tanto la mia testa. Domani dovro' tornare in ufficio, fare cose che non mi interessano piu'. Cose che non riesco piu' a credere che cambieranno il mondo o soltanto faranno avanzare di un passo il genere umano. Pero' sapro' che qui la brezza del giardino fara' ondeggiare leggermente un dondolo. Il mio dondolo. Penso che bastera'.
Potro' anche immaginare di alzarmi dai cuscini e andare in fondo al giardino, dove la seconda novita' del week end dara' la migliore esposizione all'orto.
Mio marito mi ha comprato una doppia scaletta di metallo, con i ripiani belli alti, dove hanno trovato posto tutti i vasi delle aromatiche e anche peperone,pomodori e zucchine. Nessuno fa piu' ombra agli altri, la zucchina gigante puo' allargarsi senza disturbare e le sue sorelle piu' piccole hanno finalmente abbastanza luce per emularla. In testata ho messo le rose, come in tutti gli orti che si rispettino.
Sono le mie due rose preferite, rose antiche bianche screziate di rosa, che per il mio egoismo hanno pero' sempre sofferto. Le ho volute sempre tenere vicine alla casa, vicine a me. Un po' troppo all'ombra, un po' troppo all'umido. In un posto che va bene per le ortensie, mica per le rose.
Loro, infatti, lottano con l'oidio come nessuna delle altre. Una delle due, per rappresaglia, non ha fatto ancora nemmeno un bocciolo. Filano, si allungano verso il sole con un fogliame triste e macchiato, i bordi deboli e ondulati come tetti abbandonati.
Nella nuova posizione avranno sole a volonta' e voglio farle risanare senza medicine. So che sono guerriere, se hanno resistito in quella posizione infame e conto che il secco e il riverbero del cotto le fara' sentire finalmente come bambine pallide al mare, quando le ossa fanno le lucertole.
Terza novita' del fine settimana: ho trapiantato la camelia, che dopo la grazia di quella fioritura era finalmente ferma ed esausta.
Buon terriccio acido che sapeva di stallatico, argilla per il drenaggio ma non troppo, concime a lenta cessione e un gran vaso sono stati il premio per l'indefesso aiuto che mi ha dato sul finire dell'inverno, quei grandi boccioli ogni mattina un po' piu' aperti che rinnovavano la promessa di una primavera che, nonostante tutto, sarebbe arrivata.
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