Ieri sera - dopo averla fotografata - abbiamo raccolto la prima zucchina. Il libro diceva di raccogliere tutte le verdure un po' indietro, in modo da stimolare la pianta a farne di piu'. Cosa che, tra parentesi, ci consentira' di fare concorrenza all'esselunga o di aprire un banco ai mercati generali.
Era acerba, assomigliava a un cetriolo, ma l'abbiamo messa sopra la pizza. Non so se fosse buona, ma era fresca e sapeva del giardino. Mi ha commosso la consistenza. Era croccante, piena di buona volonta', come la primavera che l'aveva prodotta.
Stasera l'insalata sapeva di timo e melissa, sperando che l'erba mi aiuti a fare quello che mio marito mi dice sempre, non avere paura mai.
Insomma, cominciamo a mangiare quello che coltiviamo e mi fa piacere, anche se per me il giardino e' prima di tutto vedere le piante essere molto felici. Ascoltarne il silenzio e sentire che mi vogliono bene.
Per questo la mia pianta preferita oggi e' il limone. Fa parte dell'angolo ospedale, perche' viene dal giardino abbandonato della mia parente. E' un limone orfano, arrivato con cinque foglie pallide e nient'altro sui rami. Adesso e' pieno di getti, tutto rosso di novita'. Soprattutto sta provando a regalarmi tre fiori, che spero si aprano perche' farebbero il profumo migliore del mondo. Quando mi avvicino il limone fa le fusa. Sembra incredibile, ma io lo sento. E' grato e fa di tutto per rendermi felice.
Forse sto diventando matta, ma la domanda di questa sera e': com'e' che da un po' di tempo a questa parte amo piu' le piante e gli animali delle persone? Perche' ho l'impressione di capirli di piu'? La risposta autocritica e' che non mi giudicano, non stanno di continuo li' a pesare quello che dico e faccio. Si prendono le mie cure senza sospettare secondi fini e pensieri reconditi. Non sono brava a non a farmi tagliare i panni addosso, non riesco a fregarmene come vorrei. Ho un gran bisogno di apprezzamento e consenso che non riesco a far tacere. Come se non fossi mai abbastanza. Tranne che con il limone o con i gatti, per cui anche la cosa piu' piccola - dare un goccio d'acqua, aprire una scatoletta, essere un corpo caldo vicino al quale accucciarsi la notte - e' grande.
Se invece metto da parte i mea culpa, la ragione sta nel loro silenzio partecipe. Nella loro empatia, nel sapersi sintonizzare sul tumulto del mio stomaco e calmarlo. Io ho sempre paura, in fondo. Paura di morire, paura che gli altri muoiano. Mai una volta che uno dei gatti non torni la sera e io riesca a pensare che e' andato lontano per uno dei suoi giretti, che se la sa cavare, che quei tetti e quei muri sono il suo territorio e che non c'e' niente e nessuno che possa impedirgli di tornare a casa. Penso subito che sia capitato qualcosa di terribile. Sento un senso di colpa sottile per quello che potevo fare e non ho fatto, per una carezza non data.
Poi la bascula suona e il grande o la piccola fanno il loro ingresso, filando diritti in cucina per mangiare qualche croccantino. Io mi alzo da letto, vado ad accogliere il disgraziato, che mi guarda perplesso perchè non riesce nemmeno a immaginare perchè io mi sia preoccupata. Io mi sento cretina come al solito.
Il ronfare piano del mattino, pero', e' l'unica cosa che sa calmare tutti i pensieri troppo veloci. Il respiro di una rosa che sboccia, la stabilita' della camelia, l'esuberanza convinta che ci sara' sempre un domani del glicine: queste sono le cose che mi mancano. Sono un'illusione di immortalità che non ho mai avuto, nemmeno da bambina.
Per questo nel loro silenzio si zittiscono finalmente le voci della mia ansia. Un piccolo tonfo di zampe a cuscinetto sul pavimento del giardino. Di questo sa il sollievo, di questo e' fatta la sicurezza.
Per questo, forse, l'ecosistema del mio giardino e' quello di cui ho bisogno nella tempesta di questo strano periodo.
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