sabato 18 giugno 2011
Dov'eravamo nascosti tutti, cercatori di bellezza?
Al Mercato della Terra ci sono i palloncini colorati di Slow Food e la gente che suona per i bambini.
Ci sono parecchi cani con l'espressione paziente e simpatica e tante persone che raccolgono biglietti da visita per aumentare l'elenco degli ordini del proprio g.a.s.
Al Mercato della Terra ci sono le tende color crema e il carrettino che vende i sorbetti. C'è il clima delle fiere di paese se non fosse che sui banchetti delle fiere di paese oggi ci sono solo magliette cinesi e cannoli siciliani.
Utili, le magliette cinesi, non sono mica qui a dire che non me le metto, per carità. Detesto avere la percezione di spendere molto denaro per cose poco importanti, per vestiti che quest'anno mi sembrano bellissimi e attendo con ansia che siano asciutti quando sono da lavare e l'anno prossimo mi sembreranno corti - stretti - lunghi - strani. Però alla sessantesima sciarpa a cinque euro con i ponpon d'acciaio in fondo mi stufo di guardare.
Veniamo ai cannoli siciliani, anche quelli sono un'invenzione sacrosanta, però non si capisce cosa ci facciano in massa in questo clima che non li valorizza per niente, troppo umido e poco elegante, che li fa sembrare unti e stantii e rende di plastica i canditi.
Al Mercato della Terra conoscono tutti Erbaviola, addirittura con il suo vero nome, e ho finalmente potuto comperare il suo celeberrimo libro sull'orto, da cui scoprirò che faccio sicuramente un sacco di idiozie e che i miei vegetali crescono solo perché hanno compassione di me.
Ho scoperto che esiste un sito che si chiama Ortiurbani che vende cose fatte apposta per l'orto in cassetta, ma che organizza anche corsi, così prima o poi farò il compost invece di buttare tutte quelle foglie e quelle puliture di zucchine.
Ho preso il biglietto di un signore che alleva polli e galline come si deve, così si è tranquilli per le uova e forse (ma ci devo riflettere, perché mi fa un po' senso anche se così è meno aberrante e più naturale) ogni tanto mangiare un po' di carne.
Si assaggia uno strepitoso pane di segale che mia suocera ha comprato perché fatto col lievito madre, che è una sua recente passione, si guardano le erbacee perenni, non se ne compra nessuna perché si ha ancora un pudore e la malva me la vado a prendere nei campi, si sorride a tutti e ci si sente a casa.
La domanda resta sempre quella: dove eravamo, o dov'ero io?
Perché sono stata sola tanto tempo con la mia voglia di bellezza, sentendomi anormale perché non ce la facevo più a essere circondata dal brutto?
Vi ho cominciato più volte a raccontare di com'è nato il giardino, mi sono sempre interrotta perché c'erano cose più importanti e urgenti da dire. Dovete sapere che prima di abitare qui vivevo a un'ora di tram piu' metro - o a quaranta minuti di motorino quando non c'era la neve - dal lavoro. Che avevo passato quattro anni a osservarmi da fuori, mentre aspettavo lo scambio di mezzi in uno spartitraffico battuto da piogge apocalittiche, alle nove di sera, prima di spingere per entrare in un tram pieno di persone bagnate e tristi come me. Scendevo in uno stradone con una sopraelevata, salivo all'ottavo piano e cercavo di tenere vivo un terrazzino di due metri per uno affacciato sul traffico, che avevo trasformato in una microscopica giungla capace di sorprendermi per la sua resistenza incredibili. Molte delle piante del giardino sono cresciute là, così come il gatto grande.
Poi a un certo punto avevo smesso di guardarmi marcire e avevo deciso che avevo voglia di bellezza, di facilità, di luce e di bianco. Di foglie su cui passare le dita per non ritrovarle nere di polvere.
Mio marito mi aveva guardato perplesso, lui amava e ama ancora quella casetta sul cavalcavia. Non aveva obiettato e da lì era cominciata la ricerca che ci ha portato qui, in questo piccolo parco sospeso dove non si sente passare una macchina e dove la luna appare più vicina.
Sembrava, però, una necessità strana, una cosa un po' anarcoide e incongrua, voler vivere in città e comprare una casa più lontana dal centro, con ottanta metri quadri di spese condominiali a cielo aperto.
Tutti quelli a cui lo dicevamo si chiedevano come mai con la stessa cifra non avessimo cercato un appartamento di lusso in una via più centrale, perché vivere in un quartiere anche un po' malfamato per amore di una pergola e di un pavimento caldo di sole su cui far sdraiare i gatti non sembrava una scelta scontata.
Al Mercato della Terra avrebbero capito tutti, nessuno avrebbe fatto la domanda.
Come se all'improvviso tutti avessero visto le cose con gli stessi occhi, che, per coincidenza, sono anche i miei.
Questo senso di comunità e di assonanza con il mondo è la sensazione più nuova di questa primavera ormai estate, è la piazza arancione delle amministrative, dei referendum, è questa mattina di mercato, è la stanchezza, il basta e la voglia di cambiare che leggo persino in ufficio negli occhi dei colleghi che si sono stancati di fare la guerra per dare un senso alla giornata e quindi gli scappa da ridere di fronte a chi cerca di alimentare una conflittualità e un'arroganza che a nessuno viene più naturale.
Non lo so se è una moda, se anche lo è meglio questa che quella che si incontra in Via della Spiga.
Non so se è la crisi economica, se è quella avrà avuto almeno un effetto positivo.
Non so se sarà il paradigma dei prossimi vent'anni, dopo gli ultimi venti di grigiore e opacità, se sarà la rovina del Paese o se ci sarà da vivere meglio per tutti.
So che sono in pace con i desideri degli altri perché mi assomigliano, per la prima volta da tanto. Che mi piace il tempo in cui vivo, per la sua capacità di fare uscire dalla rassegnazione all'improvviso o di registrare di colpo un cambiamento che forse era nell'aria da molto.
Penso che a trent'anni e poco piu', negli anni in cui e' il tuo turno plasmare il mondo, sia bello sentirsi così, non scollati anche se confusi, impegnati in un tentativo di riorganizzazione delle priorità che forse non è solo personale.
Oggi pomeriggio, mentre attendo l'ennesimo temporale, non mi sembra poco.
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