domenica 12 giugno 2011

La donna preistorica



Stasera degli amici avevano dei biglietti gratis per Caveman. Per chi non vivesse in citta', si tratta di uno spettacolo che fanno da un po' in un teatro storico del cabaret, uno di quei posti che ti richiamano gli anni ruggenti, quando la retorica urbana dice che dalla nebbia che avvolgeva il duomo uscisse divertimento, innovazione, genialita'.
Avete letto l'ultimo libro di Faletti? Io si', perche' sono onnivora dal punto di vista letterario e quello e' passato da casa. Il clima e' quello. Una citta' dalle notti meno rigide, una citta' con qualcosa da dire, sempre grigia, ma con ironia.
Il monologo, che penso sia un format americano, ma in cui, da bravo soliloquio, conta tanto l'attore, fa ridere parecchio. La metafora e' vecchiotta: le differenze fra uomo e donna risalgono alla preistoria, all'uomo cacciatore e alla donna raccoglitrice di semi.
La sapete quella dell'agricoltura e dell'idea di divino che hanno una sola origine, il culto dei morti? Io l'ho letta in un bellissimo libro di Celli, che parla di piante.
L'autore racconta di generazioni di donne che andavano a portare offerte sulle tombe degli antenati. Piano piano hanno cominciato a vedere che dalla disgregazione sottoterra di questi saggi anziani, o di questi eroi morti giovani, combinata con le testimonianze del loro affetto sotto forma di fiori e frutti nascevano piante nuove, piu' belle - e concimate - di tutte le altre. Da qui due pensieri consequenziali e limitrofi: da frutti e fiori nascono nuovi fiori e frutti, la base dell'agricoltura, e c'e' un aldila', da cui le persone che abbiamo amato e che sono morte ricambiano i nostri doni. Era nata pure la religione.
Non so se sia una teoria affidabile, ma io la trovo bellissima.
Comunque Caveman parla di questo, di donne che osservano e raccolgono informazioni a largo raggio, che prima o poi connettono per formare pensieri nuovi. Dall'altro lato stanno uomini cacciatori, che affinano una tecnica, ma restano focalizzati su un oggetto solo, quindi hanno un cervello che funziona in modo diverso.
Da questo assunto nascono infinite gag sulla quotidianita' e l'interazione fra i due generi, ma questa mi sembra la cosa meno interessante. Andate a vedere lo spettacolo e ridete riconoscendovi in un'infinita sequela di reciproche idiosincrasie.
La cosa graziosa, secondo me, e' che la teoria funziona, che ho molto di quel prototipo femminile.
Lo vedo mentre esco e fuori ancora piove per controllare i danni della grandine, perche' questa primavera, ormai fattasi bizzarra estate, non ci facciamo mancare niente. E' la visione d'insieme di tante foglie a terra, ma e' anche il dettaglio del buco sulla foglia di gardenia, quello dei peperoncini appena nati e quasi annegati a cui tolgo in fretta il sottovaso per farli sgocciolare. Sono le chiome dei glicini ancora una volta tutte reclinate verso il suolo, a fianco della desolazione delle sdraiette di plastica che sembrano una spiaggia a novembre. Un bocciolo di rosa che non riesce ad aprirsi per i funghi, che non ce la faccio ormai piu' a controllare nemmeno con il rame, che do malvolentieri, ma che ultimamente mi era sembrato una scelta obbligata.
E' la consolazione del limoncino che e' ancora al suo posto, attaccato al suo esile rametto cordone ombelicale come se avesse le unghie.
In tutto questo c'e' la donna della preistoria che raccoglieva, e molto presto aveva cominciato a coltivare, i suoi frutti.
C'e' anche in un gesto moderno, che ha una base antica: telefonare subito a mia madre, per farle sapere che capisco l'ansia con cui scruta il cielo, che mi ricordo di quando arrivava una chiamata dalla campagna accolta come la notizia di un lutto e si partiva a tutta velocita', per andare a vedere i danni. Il giro a piedi per il campo dov'era venuta la "tempesta", cosi' si dice grandine dalle mie parti, e il ritorno con la testa bassa, che si scuote. E' tutto andato, anche quest'anno.
Secondo Caveman le donne cooperano, condividono, perche' sono sempre andate insieme in campagna. Mentre le mani lavorano e gli occhi osservavano l'insieme e i dettagli, si chiacchierava, come oggi.
Si trasmetteva sapere.
Oggi, mentre mangiavamo, discutevo con mio marito su quanti sono i giocattoli che si possono fare con i fiori. La mia conclusione era molti. La sua, nessuno. Ma come nessuno, chiedevo io? Io facevo le bamboline girando piano piano all'ingiu' i petali del papavero e veniva fuori una principessa, con anche la coroncina intorno al capo.
Oppure soffiavo i soffioni. Con il gambo dello stesso fiore, che ho sempre chiamato piscialetto, tutto attaccato, ma credo abbia nome tarassaco e si trovi nelle tisane depurative, si potevano fare i riccioli. Bastava cogliere uno stelo, inciderlo appena con le unghie, quello si arricciava tutto.
Poi si poteva suonare con i fili d'erba un po' larghi, che pero' ogni tanto tagliavano dita e labbra e bisognava stare attenti, oppure fare le catene con le margherite.
Mi sembrava strano che non conoscesse nessuno di questi divertimenti banali della mia infanzia.
Poi ho pensato che erano tutti insegnamenti femminili, che queste cose le avevo imparate tutte da mia madre in lunghi pomeriggi in cui mi ero stancata di giocare con i puffi in mezzo ai ciliegi, mentre si facevano i cestini da vendere al mercato. Oppure da mia nonna mentre si faceva su e giu' per i filari del pereto, nell'altro podere.
Mi piace la complicita' sottesa a questo rapporto. Anche con la capa, ormai, il giardino sembra uno dei pochi temi che fanno sotterrare l'ascia di guerra.
Ho sempre notato che animali e piante sono ottimi argomenti che creano un immediato filo fra le persone.
Oggi ho sentito la mia amica, che non mi sta molto vicino in questo periodo difficile perche' vive lontana e ha un'esistenza anche lei piuttosto complicata. E' la mia amica quella piu' amica di tutte, l'unica persona al mondo che quando si e' ammalata mi veniva da parlare al plurale, come se fossimo malate tutte e due.
L'inizio della telefonata e' stato un po' difficile, era strano raccontarle tanti avvenimenti che accadono da distanza, senza condividerli minuto per minuto, avere lunghe file di fatti da descrivere perche' altrimenti diventata impossibile seguire sequenze logiche. Avevo persino un po' di rancore buono, bisogno di dirle: "Ma dove sei? Mi e' indispensabile sapere cosa pensi, averti per aiutarmi a mettere ordine in questo casino che ho nella testa".
Poi mi ha parlato di una sua rosellina moribonda per un attacco di una malattia improvvisa, abbiamo cercato soluzioni per salvarla. Solo poche ore prima stava benissimo, nuovi bocci erano spuntati e aveva getti rossi e verdi, nati dopo una fioritura eccessiva, probabilmente procurata in serra. La mattina era secca e con le ragnatele degli insetti addosso, la sua coinquilina pensando di far bene aveva aggravato la situazione, con un travaso che la poverina non so come potesse aver preso, dato che gia' non stava bene. La mia amica mi ha detto: "l'avevo tanto curata, stava benissimo, pensavo saresti stata orgogliosa di me".
Mi si e' stretto il cuore, perche' ho capito che mi stava vicina da laggiu' a Roma, attraverso una rosa coltivata anche pensando a quando io l'avrei vista.
Come se fossimo state sempre di fianco, a piantare semi, parlando di cosa succede nelle nostre vite, nel mondo, e a inventare cosi' idee nuove.

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