Solo alcune immagini stasera, dopo un'altra giornata di pioggia che ha ormai trasformato il giardino in uno stagno.
L'ultima volta che sono stata in Emilia dalla mia mamma ho visto in cantina un bellissimo catino gigante di zinco, che l'anno prossimo, se continua cosi', trasformero' in un laghetto per le piante acquatiche.
Stasera sono stata fuori pochi minuti, giusto il tempo di raccogliere zucchine gigantesche e fragole finalmente dolci e buone che erano incredibilmente maturate senza sole.
Ne ho approfittato per una veloce ispezione.
La rosa lilla di Barni si conferma appartenere a una razza superiore. Travasata nella stagione peggiore, in piena fioritura, perche' non si poteva lasciare nel vasetto minuscolo di plastica in cui era, non solo si e' abituata a tempo record, riuscendo a far sbocciare magnifiche rose livide e caparbie, ma ha fatto nuovi, lunghi getti di un rosso entusiasta, che ora culminano in minuscoli, strettissimi boccioli che proseguono il loro cammino verso la fioritura in mezzo al disastro metereologico.
A prescindere da questa campionessa della specie e per onesta' nei confronti delle altre abitanti del giardino, mi sento in dovere di sottolineare che tutte le rose, quest'anno, sono foriere di sorprese continue. Quella antica bianca e rosa e' per la terza volta in fioritura, colma di boccioli che dimostrano la sua gioia per la posizione a fianco dell'orto, in un pieno sole che assomiglia a una posizione geografica piu' che a una condizione reale, ma tanto le basta per dimostrarmi la sua gioia e la sua riconoscenza. La rosa candida e' partita in ritardo, ma e' ora una nuvola, anche se le teste sono tutte reclinate e gonfie d'acqua.
In compenso ho un vaso sul tavolo di cucina che mi aiuta a svegliarmi la mattina, anche se e' sempre piu' difficile alzarsi per andare in un ufficio dove ogni giorno lotto per tenere duro, per essere professionale, fino alla fine. Andandomene con la reputazione affettuosa che non voglio perdere mai, per diventare trasparente piano piano e non dare troppe grane a tutti quelli che resteranno dopo di me.
Anche alla mia collega che oggi mi ha detto: "Se tu dovessi andartene un giorno, non so come faremmo, non so come farei". Ha riso, come per un'ipotesi impossibile. Non le ho risposto. Ho pensato che fara'. Che respirera' ancora l'odore di quella moquette polverosa che mi manca gia' se ci penso, mangera' con altri la crostata del suo compleanno, quella che la capa guastera' parlando di lavoro nei cinque minuti dedicati a un pensiero diverso. Che bastera' poco e saro' sparita, solo un ricordo sfumato in un vecchio aneddoto che salta fuori ogni tanto in mensa.
Mi sono soffermata anche a guardare la rosa di fosso, quella che e' esplosa in un fiore unico e gigantesco, che ha fatto in tempo a essere struggente prima di essere rovinato dalla pioggia. Ho guardato sotto, per vedere se per caso qualche altro bocciolo avrebbe potuto sperare in una stagione piu' clemente, addirittura di schiarire il rosa carico al sole.
Ho visto una strana erbaccia. Era una violetta azzurra e gialla, la nipote imbastardita - o rinaturalizzata - di una viola del pensiero da serra, mescolata, cosi' penso, con altre viole di carreggiata di campagna. Mi sono commossa per questa piantina fuori stagione, che e' stata nascosta per mesi sotto la terra per sbucare alla fine di questa primavera sempre piu' strana e fiorire pallida e timida quando la rosa che la ospita ha deciso che questa ormai era diventata casa, quando le aha detto che poteva stare tranquilla.
Il fico in cortile, invece, quello estratto dal buco, e' in crisi nera. E' un dolore vedere appassire le foglie in un mare d'acqua, con radici che non riescono a pescare il liquido che potrebbe tenerle in vita. E' come guardare mia nonna quando stava per morire, i polmoni incapaci di raccattare l'aria, la maschera dell'ossigeno che si schiacciava ritmica sul viso scavato. Spero che ce la faccia, che sappia trovare un po' di forza e nutrimento. Come per mia nonna, posso solo stare a guardare, sistemare una foglia che si e' accavallata alle altre come aggiustavo una ciocca di capelli sulla fronte sudata, sperare che sappia resistere e radicare di nuovo e ricominciare, come mia nonna aveva fatto tante volte prima dell'ultima, la scorsa estate.
Subito sotto stanno le talee delle ortensie rubate, belle e coraggiose e impegnate. Non so se ce la faranno tutte, ma penso che alcune sicuramente si'.
La pioggia ha fatto crepare anche i duroni della mia mamma, che aveva quest'anno un raccolto straordinario in campagna.
Le devo fare un discorso serio, la prima volta che possiamo parlare con calma, non al telefono.
Spiegarle un po' meglio il cambiamento climatico, darle qualche articolo che ho in ufficio su come il clima, da noi, sara' necessariamente sempre piu' monsonico, come in questi giorni. Inverni senza il terrore delle gelate, primavere asciutte e soleggiate, improvvise settimane che bagnano le ossa come queste.
Devo suggerirle che forse e' meglio se comincia ad acclimatare qualche nuova coltura, piu' adatta al tempo che verra', accanto a quelle che coltiva e recupera, con la straordinaria capacita' di far crescere cose che hanno lei, le persone che le stanno di fianco e il terreno di casa.
Forse ve l'ho gia' raccontato, a volte mi ripeto sulle cose che mi colpiscono, ma nell'orto di Ciro germogliano i pali d sostegno. Fanno sorridere i pomodori attaccati a grossi rami recisi ed evidentemente non ben seccati, che si riempiono di getti verde chiaro come se la natura fosse troppo esuberante per fermarsi davanti a qualcosa di irrilevante come la morte.
Penso che forse una volta i duroni, le pesche e le albicocche devono essere sembrate esotiche in Emilia, almeno quanto lo paiono oggi papaie e manghi, in un territorio che all'uomo di allora sembrava normale fosse ancora glaciale e invece cominciava a intiepidire.
Forse e' un'eresia in un mondo, di cui mia mamma e' esponente, che lotta giustamente per recuperare gli antichi semi, ma puo' darsi che ci sia una via di mezzo, un modo per accompagnare il passato verso il futuro senza traumi, con dolcezza. Cercando di adattarsi per gradi al cambiamento, prefigurando un mondo diverso, mentre si cerca di mettere in salvo tutto quello che di buono c'e' nel tempo presente.
E' una bilancia difficile da tenere in equilibrio, un confronto pesante fra utopia e rassegnazione, su cui penso valga la pena tentare di fondare la vita.
Sto imparando che questa e' la condizione di tutti e che cercare di camminare sul crinale fra questi due stati, fra questi due sentimenti, ha una sua irriverente poesia. Quella che distingue il ripiegamento dalla resistenza, quella che cerco anch'io, nel mio piccolo, di perseguire nella mia estate dei monsoni.
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